per alcuni giorni, quella rosa del deserto avera reso insopportabile la valigia.
pesava il sasso scolpito dal vento, e pesava la valigia a ogni spostamento.
adesso quella rosa del deserto presa dal bordo della strada in una base petrolifera è poggiata alla radice del glicine, a casa.
la città petrolifera è un posto inutile in mezzo a un deserto inutile.
sbaglia chi immagina le dune, le palme e i cammellieri che ondeggiano nobili accoccolati sul dorso dei mehari.
la foto presa dal web di un impianto nella sassaia grigia.
è una sassaia piatta e grigia percorsa da tubi di acciaio grigio. filari di tralicci dell'alta tensione. qua e là (dall'aereo di notte si vedono bene) fiammeggiano le torce a bocca di pozzo per bruciare i gas che escono insieme con il greggio.
la foto presa dal web delle torce che bruciano i gas a margine dei pozzi di petrolio.
la città petrolifera è una somma di officine fabbriche dormitori.
non ci sono negozi né ristoranti, ma solamente compound di lavoro.
ci si sposta da un compound all'altro secondo le necessità, per andare a caricare tubi o valvole, per incontrare il personale di un'altra compagnia petrolifera, per esaminare un aspetto tecnico insieme con gli esperti di una ditta specializzata.
ogni compound è un'area quadrata di terreno circondata da un muro o da una recinzione. tra un compound e l'altro passa una strada – asfaltata se primaria, altrimenti di terra battuta – oppure i compound si affiancano l'uno all'altro lungo la strada.
dentro ci possono essere palme e giardinetti con la palazzina uffici, oppure cataste di tubi e un magazzino, oppure le baracche in cui dormono gli operai.
la foto presa dal web di un compound povero, magazzino o alloggio per operai.
i compound delle compagnie petrolifere internazionali hanno agli angoli le torrette armate e sul muro alto corre un barbed wire, il filo spinato.
in una di queste città petrolifere il compound degli italiani era forse meno lussuoso di altri, ma più prezioso.
non ha il campo da golf che macchia di verde la polvere del deserto. non ha la piscina. ma il compound degli italiani, dell'eni, ha due cose.
primo, dagli italiani la mensa è la migliore della città petrolifera. il cuoco del catering viene da parma o da reggio calabria o da ancona o da dove ti pare, ed è sempre una meraviglia.
prepara la pizza e il pane profumato, affetta al coltello un prosciutto raro, sceglie le bottiglie di vino – e questo per gli americani del compound a fianco cui è vietata ogni forma d'alcol è un segno di alta civiltà.
così i francesi, o gli americani, o gli inglesi, non vedono l'ora di essere invitati dal collega italiano a mangiare alla mensa italiana.
non ci sarà il campo da golf, ma la pizza appena sfornata o il brasato al barolo valgono mille.
secondo, gli italiani hanno il bunker.
è un edificio blindato, con il generatore elettrico e le antenne satellitari sul tetto.
se nella città petrolifera succede qualcosa, ci si chiude dentro a doppia mandata e si chiama.
una ventina d'anni fa la gente, in quel deserto, si ammazzava per motivi religiosi. sgozzavano gli infedeli.
in un certo periodo, la situazione divenne così tesa che la comunità internazionale decise di darsi appuntamento nel "bunker degli italiani".
mentro fuori accadevano cose terribili da conoscere, là dentro, nel bunker degli italiani, il mondo si accoccolava nei corridoi e nelle stanze e chiamava le ambasciate e i governi.
attorno, un deserto grigio e piatto, una sassaia inutile.
e sul bordo della strada, una rosa del deserto che ho portato a casa.