fa più rumore un albero che cade di un’intera foresta che cresce.
non è vero quello che sentiamo dire dalla gente.
non è vero che c’è sempre meno verde.
in italia ci sono sempre più boschi e foreste, e si espandono di anno in anno.
questo è il periodo in assoluto più selvoso della storia d’italia, almeno dell’ultimo migliaio di anni.
ogni giorno la natura inarrestabile e potente occupa nuovi spazi con piante e animali, e toglie questi spazi soprattutto allo sfruttamento agricolo, alla monocoltura dei campi chimicizzati, del terreno artificiale.
e qui c’è la differenza fra ecologia ed ecologismo. l’ecologismo si convince che un campo di granturco è natura (e invece è artificio, chimica, carburanti, acque contaminate da diserbanti come i 175 tipi diversi di pesticidi trovati nelle acque italiana e così via), mentre l’ecologia fa il confronto fra i diversi ambienti, i biotopi, la biodiversità e confronta i diversi impatti delle attività umane sull’ambiente.
in questo mio articolo sul sito web del sole 24 ore (clicca qui) puoi leggere tutti i dati in dettaglio, ma li riassumo qui: oggi ognuno di noi ha circa 200 alberi, una vera boscaglia.
nel 2005 ogni italiano aveva a disposizione 199 alberi; oggi, dieci anni dopo, ognuno di noi ha una dozzina di alberi in più, circa 210.
dal ’71 al 2011 la natura si è ripresa con alberi, sottobosco e animali liberi circa 3,5 milioni di ettari italiani.
in questi ultimi dieci anni, dal 2005 al 2015, sono stati liberati dallo sfruttamento 600mila ettari di italia, ettari che sono diventati selva con animali selvaggi.
oggi in italia sono coperti da boschi circa 10,9 milioni di ettari.
come densità di alberi, le regioni più alberate sono l’emilia romagna (1.815 alberi per ettaro di territorio regionale) e l’umbria (1.815 alberi), seguite da marche e veneto. la gente pensa il contrario, ma le regioni meno selvose sono l’alto adige (884 alberi per ettaro), la sicilia (765) e ultimissima la val d’aosta (707 alberi per ettaro).
in sostanza due aree confinanti, l’abitatissimo veneto della pianura come una tavola di cemento, il quale concentra nelle dolomiti, nel cansiglio e nel feltrino gran parte delle sue foreste, ha il doppio di selve rispetto l’alto adige, ritenuto dalla gente più *ecologico* e *naturale*.
sulla cementificazione, il 19% è rappresentato da nuove strade sterrate e poderali (quasi la metà del consumo di nuovo suolo è formato da strade e ferrovie).
non è vero quello che ti spaccia la gente.
c’è chi analizza inorridito di quanto calano in numero le aziende agricole situate nel suo territorio comunale, come se fosse un pessimo indicatore (forse lo è, forse no): il numero di aziende agricole forse scende perché ci sono anche fusioni e acquisizioni tra aziende agricole, che così alcune divengono un po’ più grandi e più efficienti. quante di queste aziende agricole che chiudono corrispondono a un abbandono dello struttamento del territorio a vantaggio della riconquista della natura?
la superficie agricola utilizzata si è ridotta, grida allarmata la gente che s’interessa di ecologia (e citano professoralmente la *selva oscura* della divina commedia) ma non sanno dire quanta agricoltura ha ceduto il passo all’ambiente.
e c’è chi analizza il numero degli incendi della boscaglia – e gli incendi sono poderosi rinaturalizzatori – e chi accusa gli assessorati.
l’ecologia è un’altra cosa, è una scienza, e non si fa per sentito dire.
l’altro indicatore strabusato è il cosiddetto *consumo di suolo*, la *cementificazione*.
in realtà la cementificazione è un processo marginale e molto più lento rispetto alla reconquista che sta operando l’ambiente selvaggio.
e poi io non so se la *cementificazione* corrisponda sempre a un peggioramento della qualità dell’ambiente.
quando il consumo di suolo è un danno ambientale.
è chiaro: l’ambiente peggiora quando per costruire una fila di villette a schiera viene abbattuta una porzione di selva.
è un danno all’ambiente, e ciò è evidente.
quando il consumo di suolo forse è un danno ambientale, ma forse no.
ma – questa è una domanda – siamo sicuri che l’ambiente peggiora quando una fila di villette a schiera (con ciò che ciò comporta come effetti successivi) sostituisce un vigneto, che è una coltura con un impatto dovuto alla chimica, alla sottrazione di biodiversità, all’uso di mezzi agricoli ad alto impatto per emissioni? non lo so, non ho la risposta: per capire quale delle due attività abbia un impatto meno severo sull’ambiente servirebbe un’analisi ecologica (non un’analisi ecologista: un’analisi ecologica).
quando il consumo di suolo probabilmente non è un danno ambientale.
sono certo, ma non ho i dati, che un piazzale asfaltato (quindi inerte copertura del suolo e basta) ha un impatto ambientale rilevabile ma assai più basso di un campo a monocoltura intensiva, industrializzata e meccanizzata, in cui si coltivano varietà artificiali bisognose di molta chimica e molta acqua (come gli ibridi di granturco della pianura), peggio ancora se in serra (che ha bisogno di molta energia per il riscaldamento).
(avvertenza: il fatto che un granturco sia un ibrido frutto di tecnologie genetiche, o che nelle serre si coltivi il pomodorino pachino igp che fu creato per tecnologia mas in israele a metà degli anni ’80, può non essere un danno ambientale rispetto ad altri prodotti di diversa origine).
quando il consumo di suolo probabilmente è un beneficio ambientale.
meglio ancora in termini di impatto ambientale se un campo – invece di usare l’energia del sole per coltivare solamente soia o granturco diserbando tutte le altre piante e insetticidando tutti i parassiti – viene usato per usare l’energia del sole per produrre elettricità fotovoltaica. sotto e attorno i pannelli crescono erbe libere.
ma la gente per anni ha urlato contro l’impatto ambientale dei pannelli fotovoltaici che danneggiano l’ambiente, penso a quanti articoli ha scritto carlin petrini di slow food sul quotidiano la repubblica per dire scandalizzato che l’energia pulita devasta l’ambiente artificiale del granturco.
quando il consumo di suolo sicuramente è un grande beneficio ambientale.
infine, è evidente che il cemento posato per costruire un impianto che depuri gli scarichi, o la spalletta di un fiume che tracima spesso, oppure ancora un consolidamento antifrana, o uno scolo per ridurre il ristagno d’acqua sono cementificazioni che fanno bene all’ambiente.
nemmeno io so quanta parte di questa riconquista della natura non è un arricchimento ambientale: vi sono terreni che restano degradati nonostante la comparsa di bestie e animali, per esempio.
insomma, ci sono mille fattori da valutare per un’analisi ecologica prima che si possa esprimere un giudizio scientifico.
altrimenti, il giudizio non è ecologico.
la meccanizzazione agricola.
questo fenomeno di avanzamento della foresta e di arricchimento della biodiversità a scapito delle colture artificiali è un effetto soprattutto dell’abbandono delle campagne meno coltivabili, come le colline.
una volta decine di milioni di italiani erano contadini braccianti che si spaccavano la schiena e morivano giovani per avere rese agricole assai modeste, da sussistenza, che non permettevano di uscire dalla miseria nera.
vivevano in catapecchie intossicate dal fumo di legna e bevevano acqua che oggi sarebbe dichiarata non potabile, colture di veleni e di batteri.
i bambini morivano di colera o di dissenteria, come mosche. bastava un’annata infelice per avere raccolti da carestia.
i fiumi straripavano come e più di adesso, e quando straripavano non si limitavano a distruggere automobili e macchinari produttivi e arredamenti: spazzavano i raccolti e condannavano a morte per fame nera chi vi abitava e i figli.
l’industrializzazione ha prodotto effetti negativi sull’ambiente, e rilevanti, ma al tempo stesso ha dato a decine di milioni di persone la possibilità di studiare, di avere case pulite, acqua potabile, fogne, medicine, ospedali raggiungibili in automobile, cibi più sani (con i conservanti, ma senza la segale cornuta o le muffe assassine).
l’industrializzazione ha tolto da una vita breve e terribile decine di milioni di villani, e ora la professione agricola – faticosa, beninteso – è finalmente un mestiere alto e nobile.
la meccanizzazione agricola ha permesso di avere molte più derrate alimentari e prodotti agricoli di una volta, sebbene le aree coltivate siano di gran lunga più ristrette.
si possono mangiare cibi di diverse regioni senza che essi deperiscano.
in caso di raccolti perduti per un’annata infelice o per una grandinata inopportuna, oggi altri raccolti arrivano da altre parti del mondo, ben conservati, senza torme di ratti che vi festeggiano durante il trasporto.
vengono coltivate le pianure, e sono abbandonate le montagne.
i boschi non sono più fonte si sussistenza misera, ma crescono con sottoboschi importanti, e diventano rifugio di animali che erano ormai rarità, come i grandi predatori e gli ungulati che i disboscamenti antichi avevano respinto e allontanato.
le foreste italiane nel 2015: clicca qui per leggere la tabella con il confronto fra le regioni
meno foreste nel medioevo.
il periodo meno selvoso della storia italiana è il basso medioevo, quando il clima caldo e l’aumento della popolazione prima della grande peste nera di metà trecento non avevano alternativa, per dare cibo, al disboscamento.
nel basso medioevo, fra il ‘200 e il ‘300, furono messe a coltura tutte le aree disponibili, e furono abbattute foreste immense per avere legname da costruzione e per riscaldamento, e per avere campi da coltivare.
ora invece siamo nel periodo più selvoso perché oggi si produce molto di più in molto meno spazio, perché per costruire le case non si usano travi di legno e per scaldare le case di oggi non bisogna bruciare l’inquinantissima legna (e le case di oggi si scaldano assai meglio).
quante foreste nuove.
i numeri.
dal ‘1971 al 2011 l’italia ha guadagnato 3,5 milioni di ettari di selva. altri 1,5 milioni di ettari sono stati costruiti e cementificati. in tutto dal ’71 al 2011 l’italia ha lasciato alla natura, o anche al cemento, 5 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata, cioè di terreni coltivati.
dal 2005 a oggi la superficie forestale è aumentata di 600mila ettari.
le regioni in cui si è osservato il maggiore incremento di superficie boscata sono quelle dell’italia centrale e meridionale
la superficie forestale complessiva, comprensiva delle altre terre boscate (arbusteti, boscaglie e formazioni rade), oggi è arrivata a ben 10,9 milioni di ettari.
nell’85 le foreste occupavano 8.675.000 ettari.
nel 2005 le foreste occupavano 10.345.282 ettari.
oggi le foreste occupano 10.982.013 ettari.
dicono i dati del terzo inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio (infc2015), quello cioè con data 2015, che la selva cresce inesorabile alla velocità media dello 0,6% l’anno.
dicono i dati del secondo inventario nazionale delle foreste condotto nel 2005 (infc2005), che le foreste dieci anni fa trattenevano togliendole dall’atmosfera 1,24 miliardi di tonnellate di carbonio organico.
consumo di suolo per strade e ferrovie.
i dati sulle aree cementificate.
della cementificazione e del consumo di suolo, le aree che vengono coperte da edifici costituiscono il 30% del totale, le infrastrutture di trasporto (nuove strade asfaltate e nuove ferrovie) rappresentano il 47% del totale (il 28% dovuto a strade asfaltate e ferrovie, il 19% dovuto a strade sterrate e altre infrastrutture di trasporto secondarie).
altre superfici asfaltate o fortemente compattate o scavate, come parcheggi, piazzali, cantieri, discariche o aree estrattive, costituiscono il 14% del suolo consumato (munafò e tombolini, 2014, munafò e santucci, 2014).
fear not, till birnam wood do come to dunsinane
(macbeth, atto v, scena v)