fra tanti che parlano parlano di barconi, di immigrati che tentano il balzo (in tutte le modalità con cui vengono descritti: clandestini, migranti, negri-statevene-a-casa-vostra, profughi), voglio parlare di altre persone, di altri uomini che sono sul mare.
vorrei che tutti ci sentissimo a fianco agli uomini (uomini veri, non noi ominicchi che parliamo) della guardia costiera e delle capitanerie imbarcati sulle vedette e sui pattugliatori.
sulle navi della serie 301, o nei grandi 900 e così via.
odore di nave salso e nafta; il ritmo degli isotta fraschini; il suono raschiante della radio e i bip degli strumenti; gli oblò e i finestrini resi opachi dal sale.
le notti con gli strumenti coperti.
coperti perché ogni spia schermo e luce che filtra in ponte comando abbacina gli occhi spalancati verso l’acqua e basta il chiarore del gps e non si vede più nulla sul mare nero.
turni continui, notti e giorni senza dormire mai, anche il ritardo per una pisciata significa la vita o la morte di un uomo in acqua.
stanchissimi non di stanchezza fisica ma per la stanchezza di raccogliere dall’acqua salata disperati o cadaveri. da settimane, mesi, anni.
stanchissimi non di stanchezza fisica ma per la stanchezza di ascoltare le parole con cui noi in terraferma giudichiamo con le mogli nei letti di lana.
questi sono uomini.
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