(ho tratto l’immagine qua sopra dal film loving vincent, di dorota kobiela e hugh welchman, 2016).
il pittore vincent van gogh non si sarebbe ucciso con un gesto di suicidio.
sarebbe stato ucciso per sbaglio, ma proprio accidentalmente, da due giovanotti di buona famiglia che amavano giocare ai cowboy e bere un goccio di troppo con il visionario artista olandese.
uno di loro girava armato con una pistolaccia rugginosa di piccolo calibro.
van gogh morì ad auvers-sur-oise il 29 luglio 1890, all'età di 37 anni.
la sera del 27 luglio van gogh tornò all'albergo ravoux con una ferita di pistola al ventre.
"un altro tentativo di suicidio?", gli chiesero.
van gogh aveva ancora la cicatrice all'orecchio rasoiato.
il genio, per non coinvolgere il cretinetti con la pistola, disse sì, tentativo di suicidio.
due giorni dopo, morì.
la teoria dell'omicidio per errore è stata fatta da steven naifeh e gregory white smith, autori premi pulitzer che oggi pubblicano una monumentale opera su van gogh frutto di oltre 10 anni di ricerche e già definita da leo jansen, curatore presso il van gogh museum di amsterdam, come "la biografia definitiva dei prossimi decenni".
il lavoro svolto da naifeh e smith, aiutati da oltre 20 ricercatori e traduttori, è in effetti ciclopico.
ogni lettera scritta dal travagliato artista – sono quasi 1000 – e ogni libro scritto su di lui, o che van gogh stesso avrebbe potuto leggere, sono stati passati al setaccio.
non è la prima volta che si parla di omicidio colposo, cioè casuale, invece di suicidio.
lo storico john rewald per esempio negli anni '30 aveva visitato l'albergo ravoux, dove alloggiava il pittore, raccogliendo elementi e prove che portavano alla stessa conclusione cui sono giunti oggi gli studiosi.
per esempio, il proiettile entrò nel vetre obliquo, e non diritto come farebbe chi si appoggia una pistola sulla pancia.
e un anno e mezzo fa anche i fumetti ipotizzarono – con diverso piglio, ovviamente – una morte da omicidio:
ecco il numero 11 del bimestrale a fumetti dix, gennaio 2010, editore bonelli.
"l’uomo che uccise van gogh", soggetto e sceneggiatura di carlo ambrosini, disegni di giéz.
"un’affascinante psichiatra contatta dix, per sottoporgli i dipinti di un paziente che ha perso la memoria. il ragazzo manifesta un’inquietante identificazione con vincent van gogh, al punto da ridipingerne ossessivamente i celebri quadri e spingersi perfino a tagliarsi un orecchio, proprio come fece il celebre artista. inizialmente riluttante a ficcare il naso nell’intricata vicenda, jan si assumerà poi il compito di far luce sull’oscuro passato del giovane svelandone i tragici segreti".
nel nuovo studio le rivelazioni non sono poche.
secondo gli autori, la famiglia del pittore cercò d'internarlo in un manicomio ben prima che van gogh si facesse internare di sua spontanea volontà; vincent litigò tanto furiosamente con il padre che alcuni famigliari lo accusarono di averlo ucciso; i malanni dell'artista, un mix di manie e depressione, furono causati da una forma di epilessia.
gregory white smith ha detto che l'opera – titolo: van gogh, la vita – aiuterà a formare "una maggiore comprensione" di una persona fragile e con dei problemi" e che la sua arte verrà vista ancor di più come un "grande trionfo".
torniamo ai dettagli dell'ipotesi dell'omicidio colposo, contenuta in un'appendice al termine delle 900 pagine del tomo principale.
naifeh e smith credono che il colpo fatale venne esploso da renè secrètan, 16enne di buona famiglia in villeggiatura a auvers-sur-oise.
questo squinternato amava indossare un costume da cowboy acquistato a parigi che accompagnava con una pistola vera – benché malfunzionante – dal piccolo calibro.
renè aveva una relazione complicata col pittore: gli offriva da bere ma allo stesso tempo lo tormentava senza sosta.
van gogh conosceva anche il fratello maggiore, gaston secrètan: per lui nutriva rispetto e un'affezione.
il giorno in cui l'artista rimase ferito nel campo dove andava a dipingere, i ragazzi erano insieme.
"era risaputo che questi adolescenti andassero a bere qualcosa con van gogh verso quell'ora del giorno", spiega naifeh.
"riassumendo: ci sono un paio di ragazzi con una pistola mezza rotta, uno di questi ama giocare ai cowboy, e tutti e tre con ogni probabilità hanno alzato un po' troppo il gomito".
il colpo dunque parte per errore.
d'altra parte, fanno notare gli studiosi, van gogh quel giorno era andato nel campo con pennelli e tavolozza e nessuna pistola venne mai trovata.
se poi avesse voluto davvero ammazzarsi avrebbe fatto meglio a spararsi in testa.
invece si trascinò fino all'albergo, il medico non riuscì a estrarre la palla e il pittore morì 30 ore dopo.
quando gli chiesero se avesse tentato di suicidarsi lui rispose "direi di sì".
in realtà si prese la colpa per non mettere nei guai gaston e renè.
"quello di van gogh fu un atto di generosità e lo nobilita", dice al times steven naifeh.
in più il pittore, che non vendeva molti quadri ed era di peso al fratello theo, non cercava attivamente la morte ma quando l'occasione gli si presentò l'accolse a braccia aperte.
l'ipotesi è stata definita da jansen come intrigante.
certo, ammettono gli stessi autori, come andò di sicuro "non si saprà mai".
(ringrazio mattia bernardo bagnoli dell'ansa, cui mi sono ispirato, e ringrazio d.t. per avere scoperto la citazione del fumetto)