(*) a venezia il termine topa non ha il significato che s’usa nell’italia centrale, e soprattutto in toscana. a venezia la topa è un tipo di barca tradizionale di legno – o anche in (puà) plastica. (il doppiosenso accade anche con un’altra barca, cioè la passera istriana).
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a venezia naviga una barca elettrica. non è la prima; in laguna c’è già qualche battello alimentato da batterie. ma questa barca ha una particolarità che la rende unica: è mia.
ci sono gli sportivi da divano (quelli del calcio parlato invece del calcio praticato) che sono sempre i più pronti a dare giudizi e i più immediati a irrogare sentenze.
nello stesso modo esiste, a fianco degli ambientalisti impegnati nella difficile e altamente morale ecologia praticata, anche un mondo farcito di ecologisti solo a parole, pronti a rivendicare il “no a questo” e “no a quello” perché tutto è inquinante; quelli per le sole cure naturali, quelli contro le lobby del farmaco e contro ogni sperimentazione animale (ma non rinunciano alle medicine); quelli delle macchine inquinano che schifo (ma usano l’auto); che contestano i campi elettromagnetici (ma hanno il nuovo modello di smartphone); quelli no alle trivellazioni perché le rinnovabili sono meglio del petrolio (al quale non rinunciano) ma no anche alla micronicchia dei biocarburanti non petroliferi perché le colture energetiche tolgono spazio alle colture alimentari (ma si vestono di cotone e lino, come se le colture estensive globali ogm di lino e cotone non togliessero spazio alle colture alimentari) e no anche alle rinnovabili perché le pale eoliche turbano il paesaggio.
per ricordare l’orrenda analogia attribuita al finanziere stefano ricucci, è un mondo pieno di ecologisti “con il culo degli altri” (a ricucci è attribuita una parola assai diversa da “ecologisti”).
ebbene: fra tanti che parlano parlano di ambiente, tra teorie di ierofanti dell’ambiente, di ermeneuti del naturale, di omologarchi del “bisognerebbe”, di benaltristi da divano – ebbene, invece di parlare, nel mio piccolo io ho fatto.
ho una barca elettrica.
la barca di cui scrivo dal punto di vista normativo è un natante a uso privato diverso dal diporto (secondo la classificazione del codice della navigazione art.1 rdl 813/32 e art.25 l.472/99).
è una barca tradizionale della laguna concepita da luca loris, un progettista industriale di prim’ordine del settore della mobilità. luca sta lavorando alla realizzazione di un motoscafo elettrico per uso taxi e la sua nuova frontiera di progettazione è un motocarro elettrico a tre ruote.
per disegnare la barca di legno, il progettista si è basato su un esemplare del 1936 sopravvissuto a stento all’usura dei legni. misura su misura, il battello del 1936 è stato copiato e ricreato com’era e dov’era.
per molti, una barca tradizionale si riassume nel solito gozzo (al quale per abitudine molti aggiungono l’aggettivo “ligure”, come se esistessero solamente i gozzi liguri).
in laguna invece non ci sono gozzi, se non qualche esemplare coraggioso.
da circa duemila anni la laguna veneta è stato un laboratorio da cui sono nate forme e tipologie diversissime di barche. a differenza degli altri mari, in cui i bisogni erano ricondubili agli usi fondamentali di pesca e trasporto, a venezia le forme nautiche sono innumerevoli perché innumerevoli sono gli usi: oltre alla pesca e al trasporto di merci sfuse, ci sono anche il trasporto individuale di persone, taxi, mezzi pubblici, trasporto di surgelati, ambulanze, diporto, pompieri e forze dell’ordine, agonismo, traslochi e così via.
la tassonomia nautica veneziana ha un che di linneiano e di darwiniano.
le imbarcazioni sono suddivisibili in famiglie, con i rami e le specie e le varianti; nel tempo le forme e gli usi evolvono; alcune imbarcazioni si estinguono e scompaiono, come è successo per esempio con le rascone e come sta accadendo con trabaccoli e caorline.
in laguna ci sono le gondole, chiaro.
e poi un’infinità di sandali topi tope cofani vipere.
e ancora battane battelle battelli (a pizzo o a coda di gambero) bragagne bragozzi burchi burchielle caicchi (“caìci”) caorline comacine gondolini patane peate pupparini trabaccoli varigole.
la famiglia dei sandoli poi si divide in specialità: il sandolo buranello, il sandolo veneziano, la mascheretta (“mascareta”), il sandolo di san piero in volta, il sandolo s-ciopon da caccia con spingardone.
poiché le linee delle barche lagunari cambiano nel tempo (non è vero che la gondola è immutabile da secoli, come ha documentato lo studioso gilberto penzo), si arriva a finezze di dettaglio che distinguono in modo inequivocabile un topo da una topa dal mototopo.
il natante di cui sto scrivendo è leggermente diverso dalle tope citate nel titolo, e fa parte piuttosto della famiglia dei sandoli maggiori.
era curioso alessandro pagnacco, esponente di rilievo della riscoperta della navigazione tradizionale veneziana e illustratore di vaglia, il quale quando ha visto la mia battella ha osservato che questa linea di un sandolo sampierotto del 1936 (come il mio esemplare elettrico) non corrisponde agli standard di sandolo sampierotto che sono stati codificati negli ultimi decenni.
(alex pagnacco ha uno splendido topo con due alberi).
in particolare, il battello elettrico è una sampierotta lunga circa 7 metri ma di forme diverse dalle sampierotte panciute di oggi, perché questo battello è più snello e filante delle sampierotte attuali.
non a caso il bravissimo gilberto penzo scrive che, come si può vedere dalle rare immagini d’epoca e dai pochi scafi originali rimasti, le forme della sampierotta come la mia “erano modeste, più piccole e meno panciute delle attuali, in modo da potersi vogare agevolmente da soli alla vallesana, era rivestita di pece come tutte le barche tradizionali o al massimo dipinta di nero o di grigio. una piccola vela, con manovre molto semplici, ne completava l’armo. quindi una barca molto diversa da quelle che siamo abituati a vedere ora, sviluppate a partire degli anni ’60 dal cantiere schiavon di portosecco per l’uso diportistico. questa tendenza a renderle sempre più grandi panciute e invelate continua inarrestabile a causa dell’uso competitivo nelle regate con la vela al terzo, che ha portato la ricerca di prestazioni sempre più estreme a scapito della sicurezza, della tradizione e della bellezza”.
che cos’è la mobilità elettrica?
poiché il natante a batterie di cui scrivo è un esemplare di mobilità elettrica, cerco una definizione su wikipedia: “la mobilità elettrica è la capacità di particelle cariche (come ioni, elettroni o protoni) di muoversi attraverso un solvente in risposta all’azione di un campo elettrico“.
definizione che non riguarda la mobilità elettrica di cui si parla abitualmente, e di cui sto scrivendo io.
ci sono molti progetti di mobilità elettrica. anche in italia. in alcune città, le vetture elettriche fanno parte del traffico abituale. a milano per esempio ci sono vetturette elettriche in car sharing, con diverse stazioni di ricarica.
il vulcanico carlo iacovini, uno dei massimi esperti e divulgatori della mobilità elettrica in italia, di recente mi ha fatto provare una splendida bici elettrica a2b, modello hybrid24, che va meglio di un motorino ma che è una bici. non spuzza, non smarmitta, il rifornimento è quasi gratis. (il “pieno” di un’auto elettrica costa meno di un euro).
una volta, cent’anni fa, i veicoli elettrici non erano rarità da destar stupore.
oltre a tranvai e filobus, i veicoli elettrici erano la normalità. avevano un normale pacco di accumulatori.
il divario tecnologico era ancora a favore dell’elettricità.
cent’anni fa c’erano pochissimi distributori di benzina, e il benzinaio non usava la pompa: rovesciava nel serbatoio taniche di latta. le latte di benzina avevano varie capienze, 5 litri, 10 litri e così via.
poi i motori consumavano spropositi di benzina e andavano piano. per avere la velocità di un’utilitaria di oggi, cent’anni fa servivano cilindrate giganti. una delle auto più lussuose al mondo, l’isotta fraschini tipo 8, per arrivare ai 120 chilometri l’ora aveva bisogno di 6mila di cilindrata.
viaggiare da una città all’altra con l’auto era un problema. le strade erano di terra battuta, anche le statali; gli stradini delle case cantoniere spargevano la ghiaia che gli schiacciasassi lisciavano; per ridurre la polvere le statali erano tenute bagnate da camion spruzzatori.
le sole strade asfaltate erano in città oppure le poche prime autostrade (come la milano-bergamo e la milano-laghi, degli anni ’20, ancora di terra battuta).
forature e polvere.
che fosse elettrica o a benzina, l’autonomia era veramente l’ultimo dei problemi.
per i viaggi interurbani, s’usava il treno. non s’usava l’auto.
al contrario, una spina elettrica si trovava con facilità. un secolo fa era normale che non soltanto i tram ma anche i furgoni delle consegne e i camion fossero elettrici.
poi il diffondersi dei benzinai, l’asfaltatura delle strade e il migliorare della tecnologia ha reso più conveniente l’auto con motore termico.
ma oggi qualcosa sta cambiando. è in corso una riscoperta del motore elettrico.
cercando di capire se ci sono incentivi o semplificazioni per il natante elettrico che gira per i canali veneziani, ho potuto verificare di persona che l’italia è ultima nelle strategie di incentivazione alla mobilità elettrica. così ai risultati tecnologici ormai convincenti fa da contraltare una politica spesso sfavorevole all’obiettivo di un ampio utilizzo dei motori elettrici.
per la verità, tutta l’europa agisce in modo poco coerente. non c’è un’europa “a due velocità” bensì addirittura “a tre velocità”.
danimarca, olanda, francia e belgio hanno adottato forti strumenti a sostegno della tecnologia elettrica, istituendo incentivi di importo superiore ai 10mila euro.
poi ci sono paesi meno impegnati sul fronte delle tematiche ambientali che hanno stabilito incentivi sino a 10.000 euro ma con un range compreso fra i 570 euro della svezia e i 9.952 della norvegia.
e fuori dall’europa?
il governo cinese offre 60mila yuan (circa 8mila euro) di incentivi a chi acquista un’auto elettrica, cui si aggiungono incentivi delle autorità locali. la città di pechino si appresta a offrire 60mila yuan di sussidi, shanghai ne offre 40mila. (in cina un’auto elettrica costa circa 200mila yuan). come ulteriore incentivo, molte città cinesi offrono una semplificazione normativa. per esempio, per acquistare un’auto serve una targa, e le targhe vengono messe all’asta. ma per comprare un’auto elettrica, la targa è gratis. l’obiettivo cinese è 500mila auto elettriche in circolazione per il 2015 e di 5 milioni di vetture nel 2020.
infine ecco l’italia con zero incentivi per zero emissioni. le iniziative riguardano l’infrastruttura energetica, cioè la promozione delle colonnine pubbliche di ricarica, ma non il cittadino, il consumatore.
e se in italia per le auto c’è zero, per la nautica c’è sottozero.
poiché per un paio d’anni ho lavorato al ministero dell’ambiente, ho posto la prima domanda all’architetta giovanna rossi, che coordina con intelligenza e impegno le attività italiane di mobilità sostenibile. niente da fare, mi dice rossi: non v’è alcuna forma pubblica di promozione della nautica elettrica. e suggerisce di provare a vedere se c’è qualche iniziativa fra regioni e comuni.
sì, ci sono accordi di programma e progetti che riguardano però lo sviluppo di tecnologie, che coinvolgono le camere di commercio e le università. ma non c’è nessun aiuto per un cittadino che semplicemente vuole dotare la sua barca di motore elettrico al posto del solito motore a cilindri-e-pistoni.
fra i progetti legati alla mobilità elettrica sottolineo quelli dell’enel. per esempio la società con la daimler mercedes ha realizzato il progetto e-mobility italy.
segnalo l’enel non perché i suoi progetti siano meglio o peggio di altri, ma perché l’enel sta lavorando anche sulla mobilità elettrica a venezia, in acqua.
ma anche l’enel invece di proporre il cambio di motorizzazione punta sull’infrastruttura, che invece sì è sostenuta dalle politiche italiane, cioè sulle colonnine di ricarica.
quale tipo di colonnine potrebbero essere adottate nella nautica?
fulvia fazio, ecologista di valore e coordinatrice delle politiche di sostenibilità dell’enel, mi ha spiegato che in europa l’orientamento sarebbe di dotare le colonnine nautiche con lo stesso tipo di apparecchiature che si stanno uniformando per le auto elettriche.
io temo che si possa rischiare un’eurocorbelleria, poiché la nautica da sempre ha colonnine elettriche in tutti i porti turistici, e la nautica è già uniformata: a quello standard, non ad altri, va conformata l’elettrificazione delle barche.
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