due settimane fa sette capodogli, enormi cetacei simili alle balene, si sono arenati a punta penne, vicino a vasto, abruzzo.
da quanto ho capito, il fatto è che il motivo dello smarrimento che ha portato i sette bestioni ad appoggiarsi sulla sabbia abruzzese non c’entra niente con le trivellazioni, con le ricerche di giacimenti, con le piattaforme petrolifere e con tutti gli altri sospetti che piacciono tanto ad alcuni interessi.
appena accaduto l’evento, avvennero due cose.
la prima cosa, l’impegno e il lavoro durissimo per salvare i capodogli.
la seconda cosa avvenuta, le voci messe in giro ad arte per suscitare il sospetto sul motivo dell’arenarsi degli animaloni.
comincio dal lavoro vere delle persone vere in difesa dell’ambiente.
la mascella strettissima dei capodogli pare fatta apposta per raspare sul fondo del mare, un po’ come becchettano il fondo dello stagno le anatre e le folaghe (ma posso sbagliarmi; non conosco l’etologia di questi spettacolari animaloni marini), e a quanto mi dicono sono animali che predano soprattutto calamaroni giganti nelle profondità più remote degli oceani. arriverebbero (così mi dicono) fino alla profondità di 1.500 metri, dove la pressione dell’acqua è pazzesca.
per questo motivo i capodogli avrebbero il dorso e il ventre di robustezza straordinaria, mentre i fianchi sarebbero di straordinaria tenerezza.
questa forma del corpo, ben saldo su dorso e ventre ma debole sui fianchi, è la causa per cui, quando si smarriscono e si arenano, i capodogli muoiono in fretta. schiacciati dal loro stesso peso. gli organi interni, i polmoni, il fegato, la milza e così via si comprimono e vengono compromessi.
vanno ributtati subito in mare.
questa forma del corpo inoltre ha creato grandi difficoltà agli uomini della guardia costiera, in collegamento continuo con il comando del ram (reparto ambiente marino) della guardia costiera al ministero dell’ambiente, che con mille difficoltà e con l’aiuto di innumerevoli volontari e rappresentanti delle istituzioni sono riusciti a rigettare fra le onde quattro dei sette animaloni, salvandoli dalla morte immediata.
non è stato possibile trainarli per la coda, perché la trazione avrebbe ucciso i capodogli.
in sostanza, sono stati spinti a forza di braccia.
massimo rispetto per queste persone che si occupano d’ambiente davvero, con i fatti. con l’impegno. anche con la fatica.
ecco invece il secondo fenomeno. quello mediatico. di chi dal divano ha già la risposta preconfezionata.
per esempio, ecco un articolo della stampa. un articolo equilibrato, com’è uso di quell’ottimo quotidiano, scritto sulla base di un dispaccio dell’agenzia ansa.
ma chi scrive è stato indotto ad alludere in modo inconsapevole già nel titolo: “gas nel sangue dei capodogli spiaggiati, trauma causato da attività umana in mare come l’air-gun”.
il lettore medio pensa subito che nel sangue degli animaloni ci fosse metano. (ennò; è il gas generato dall’embolia gassosa di un’emersione rapidissima dalle profondità estreme).
l’articolo mette sotto accusa chi “usa il mare sia per scopi militari che per ricerca di idrocarburi”.
(attività, va detto, che sono spiacevoli e che nel migliore dei mondi possibili sarebbe bene non ci fossero).
scelgo fra cento e cento uno solo degli articoli involontariamente distorti.
sui social e sui blog è stato ripreso da una slavina di link e di “like” un ricco commento dell’italo-statunitense maria rita d’orsogna, che vive e lavora in california (gli stati uniti hanno raggiunto l’indipendenza energetica e ora si attrezzano a esportare idrocarburi), che sulla rete è un’acerrima nemica dello sfruttamento petrolifero italiano.
sul blog che ha sul quotidiano il fatto quotidiano, la vivace e seguitissima polemista mette in correlazione diretta l’arenarsi dei sette capodogli con le attività petrolifere.
scrive: “ci possono essere lesioni e ferite su animali malcapitati nelle vicinanze. altra possibilità è che gli animali perdano l’udito e con quello il senso dell’orientamento. come appunto potrebbe essere successo a vasto”.
e poi d’orsogna aggiunge che le attività petrolifere sono causa perfino “di terremoti, di cetacei spiaggiati, di avvelenamento dell’aria e dell’acqua”.
le considerazioni allusive e involontariamente distorte di tanti osservatori emotivi hanno subito tempestato la rete.
però da mesi in adriatico non sono in corso trivellazioni.
e nemmeno ricerche di giacimenti con quell’air-gun che suscita molta paura.
zero-via-zero.
nemmeno sulla parte croata dell’adriatico.
nei giorni scorsi, quando l’emotività generata ad arte attorno alla vicenda era ormai sopita dai cento e cento fatti assai più gravi, è uscito in modo singolare il ministero dello sviluppo economico, con un comunicato scritto e diffuso non dalla struttura centrale del ministero bensì dalla dalla direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche.
ecco il testo del comunicato del ministero dello sviluppo economico:
roma – 27/09/2014
comunicato sullo spiaggiamento dei capodogli avvenuto in adriatico
nei giorni in cui è avvenuto lo spiaggiamento non era in corso alcuna attività di ricerca di idrocarburi.
in relazione allo spiaggiamento dei capodogli sulla spiaggia di punta penna del comune di vasto, avvenuto nella notte fra 11 ed il 12 settembre u.s., si specifica che nelle acque italiane e, in particolare, nel medio/basso adriatico, alla data dello spiaggiamento o nei giorni precedenti, non era in corso alcuna attività di ricerca di idrocarburi autorizzata dal ministero.
inoltre, nell’ambito degli accordi di collaborazione in atto con la marina militare ed il comando generale del corpo delle capitanerie di porto, attinenti, tra l’altro, il monitoraggio permanente delle navi commerciali e scientifiche che effettuano indagini sismiche nelle acque italiane, dalle verifiche svolte è risultato che, nei giorni in cui è avvenuto lo spiaggiamento, nella zona non operava nessuna nave oceanografica dotata di sistemi (airgun e similari) citati dai media quali possibili cause dello spiaggiamento dei capodogli. l’unica attività rilevata, è stata quella effettuata da una nave impegnata in una campagna di ricerca scientifica riguardante la raccolta, l’uso e la gestione di dati per la tutela della fauna ittica.
ecco qui: l’unica attività era una ricerca scientifica sui pesci.
aggiungo io: una nave oceanografica dell’ismar cnr che stava conducendo monitoraggi.
nei prossimi giorni uno dei maggiori esperti mondiali di cetacei, sandro mazzariol dell’università di padova – che nell’immediatezza del fatto si era fiondato a vasto per aiutare nel salvataggio dei capodogli – consegnerà l’autopsia.
posso anticipare i primi dettagli.
gli animali – e in particolare la capobranco che ha portato gli altri capodogli ad arenarsi – avevano lo stomaco vuoto.
avevano una fame terrificante ed erano molto indeboliti.
da giorni vagavano in adriatico (quei capodogli erano stati avvistati pochi giorni prima dalle parti di trieste) senza trovare cibo per saziare la loro fame devastante.
nessun calamaro gigante e nessuna profondità oceanica in un mare – l’adriatico – che è una tavola infinita di sabbia alla profondità di poche decine di metri.
la capobranco probabilmente era anche assai malata – con gravi malattie agli organi interni.
persi, affamati fino alla debolezza estrema, guidati da una capobranco probabilmente in fin di vita.
e forse (forse) anche intontiti dalle ricerche nave oceanografica.
una spiaggia dove la capobranco avrebbe potuto appoggiare il corpo sfiancato, e dormire disperata lasciandosi cullare dalle onde.
poveri animali.
poveri noi, vittime inconsapevoli di interessi.