le mie città. sabbioneta. (3 l’amleto mantovano e il conte antiquario).

(ho tratto l’immagine qui sopra dal film il mestiere delle armi di ermanno olmi, 2001).

(3 – terzo e ultimo di tre articoli. per leggere il primo articolo su sabbioneta, l’imperatore austriaco, il duca figlicida e il reverendo in tonaca clicca qui. per leggere il secondo articolo su sabbioneta, shakespeare e il sogno d’una notte di mezz’estate clicca qui).

già nelle sue origini, la città di sabbioneta pare avere una vena nascosta di follia, a tratti tragica.

l’altro giorno raccontavo di un’altra delle “mie città”, casale monferrato (clicca qui per leggere l’articolo su casale).
a casale monferrato, attorno alla metà del ‘500, era stato governatore il vespasiano gonzaga duca di sabbioneta.
a casale, vespasiano era in confidenza con stefano guazzo, letterato locale, dalla cui frequentazione guazzo scrisse il prezioso manualetto “la civil conversazione” (la ciuil converfatione, all’illvstriss.et eccellentiss.sig.vefpafiano gonzaga).
la “civil conversazione” di guazzo fu uno dei testi in cui s’era tuffato a peso morto scarpe comprese il drammaturgo inglese william shakespeare.

ieri raccontavo di richard paul roe, l’avvocato statunitense morto pochi anni fa, il quale nei suoi studi e nei suoi libri arrivò alla conclusione che william shakespeare ambientò la commedia sogno di una notte di mezz’estate non ad atene bensì nella “piccola atene” realizzata nella seconda metà del ‘500 dal duca vespasiano gonzaga, il quale creò dal nulla una città, la sua piccola capitale, cioè il gioiello che è sabbioneta nella bassa mantovana (clicca qui per leggere).

il castello di elsinore, in danimarca, residenza di amleto. scattai questa foto nel 2010.


il castello di elsinore, in danimarca, residenza di amleto. scattai questa foto nel 2010.

non è il solo spirito originale a trovare un collegamento fra sabbioneta e shakespeare.
(mi chiedevo ieri: shakespeare o crollalanza?).

lo scrittore australiano james cowan ha scritto un libro (hamlet’s ghost, vespasiano gonzaga and his ideal city, cambridge scholars publishing) nel quale viene individuato un parallelo fra il tormentato creatore di sabbioneta, cioè vespasiano gonzaga, e il tormentato principe di danimarca, cioè amleto.
in altre parole l’amleto di shakespeare è un ritratto parafrastico del tormentato vespasiano gonzaga, uomo di cultura vastissima, dagli accessi terribili di collera, dalla vita attraversata dai fantasmi dei ricordi degli antenati e dall’idea dei successori.

come raccontavo l’altroieri, nel 1580 suo figlio luigi gonzaga, unico erede, appena 15 anni, s’inchinò in malomodo a suo padre vespasiano.

e vespasiano perse il lume della ragione, aggredì il ragazzino a calci e pugni.
e lo pestava anche quando il ragazzo era a terra piangeva basta basta.
e questo accadeva nel palazzo perfettissimo costruito da vespasiano nella città ideale perfettissima serenissima progettata e costruita da vespasiano.
e pochi giorni il piccolo luigi morì per le ossa fracassate dal coltissimo violentissimo genialissimo vespasiano gonzaga.
e vespasiano gonzaga perfettissimo venne tormentato da questo evento scatenato da lui.
come il fantasma del padre ossessiona amleto nel castello di elsinore, così il fantasma del figlio ossessiona vespasiano nella città di sabbioneta.

consiglio a proposito di leggere le brevi osservazioni di alberto sarzi madidini sul libro di james cowan, cliccando qui.
elsinore gli spalti sulla sonda
su questi bastioni che s’affacciano sulla sonda, secondo shakespeare, amleto incontrò il fantasma del padre. foto scattata da me a elsinore nel dicembre 2010.

(di gente che cerca dietrologie stravaganti in shakespeare ce n’è frotte. per esempio un tal roger prior ha trovato sulla facciata di un palazzetto rinascimentale della splendida città di bassano (vicenza) un affresco (clicca qui per vedere la pittura) in cui egli legge paroparo alcuni versi dell’otello. i versi sono oscuri, ma leggendoli attraverso la conoscenza dell’affresco allegorico diventano chiari. conclusione di prior: shakespeare aveva visto l’affresco e quindi era stato anche a bassano).

ma veniamo agli spiriti ameni della sabbioneta di oggi.

dove via vespasiano gonzaga s’apre sulla piazza d’armi c’è l’ufficio postale.

a destra delle poste, la vetrina di un negozio d’antiquariato, chiuso, nella quale un cartello invita a rivolgersi al negozio del conte michelangelo moretti in piazza ducale.

a sinistra delle poste, una piccola pizzeria al trancio, dall’arredamento semplice.

sopra l’ingresso delle poste, un balcone sul quale sventola, esposta, una bandiera pertinente con l’ufficio delle poste: una bandiera italiana.

ma osservo: la bandiera italiana sopra l’ingresso all’ufficio postale è la bandiera del regno d’italia: il tricolore con lo stemma dei savoia.
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sabbioneta. il balcome sopra l’ufficio postale espone la bandiera del regno d’italia.

strano.
m’informo, ed entro nella pizzeria:
– scusate, come mai l’ufficio postale espone la bandiera dei savoia?
– manò, non è l’ufficio postale: la bandiera forse è stata messa dal conte.
– dal… dal conte?
– sì, il padrone del palazzo.

chi sarà il conte? sarà forse il conte michelangelo moretti antiquario di cui ho visto la vetrina a fianco delle poste.

percorse le poche decine di metri di via dondi, esco in piazza ducale e traguardo lungo la prospettiva del porticato.
sotto le arcate, in fondo vicino al palazzeto del duca, il portico è ingombro di masserizie. sarà il negozio d’antiquariato.

nell’avvicinarmi, eggià, vedo un uomo anziano-ma-non-troppo poggiato di schiena al pilastro dell’arco, a fianco dei mobili antichi.

pantaloni con piega, camicia bianca, cravatta a farfallino, fazzolettino a poscètt nel taschino.
attorno a lui vasche di marmo da fontana, bastoni da passeggio, riproduzioni moderne di insegne antiche, letti biedermeier smontati, credenze con vetrinetta.
m’affianco a lui e, come lui, appoggio la schiena al pilastro del portico.

– buonasera, conte moretti. mi chiamo jacopo giliberto, veneziano.
– buonasera a voi.
(ehi, è proprio il conte moretti!)
– mi tolga una curiosità. perché su piazza d’armi espone la bandiera del regno d’italia?
– perché noi nobili siamo devoti a casa savoia.
– ah, un omaggio ai savoia.
– sa; noi nobiltà dobbiamo rendere loro l’onore che meritano.
(non esprimo al moretti le mie perplessità)
– capisco, moretti; capisco.
– ma perché non entra in casa? le faccio visitare la mia dimora. ho anche l’unico esempio di bagno pompeiano.
– corrrbézzoli.

tentenno.
poi, vabbè, andiamo a vedere.
entro nel palazzetto passando fra corridoi e salotti ingombri di masserizie antiquarie e modernarie. ventagli di pavone. argenterie sheffield. quadri a olio anneriti. sgabelli tarlati.

il moretti:
– vuole visitare il bagno pompeiano?
– mmm grazie ma veramente
– guardi; guardi su questa parete è affrescato l’albero genealogico della famiglia.

in effetti, attorno al vano dove la scala con la balaustra di legno sale al piano di sopra c’è, alla parete, un affresco moderno con un po’ di facce; mi pare un dipinto di gusto anni ’50-’70.
e, sulle scale, c’è una donna che scende.
è una turista.
a fianco a me, un uomo, marito della turista, con macchina fotografica. e loro figlio.
michelangelo moretti sale la scala, si mette a fianco della donna e le dice:
– signora, faccia la foto con il baciamano del conte.
– ma no,
dice lei imbarazzata.
lui insiste:
– massì, la foto con il baciamano.
il marito della visitatrice è imbarazzato come lei, ma moretti si rivolge a lui:
– faccia la foto del baciamano
e con delicatezza moretti prende la mano della turista, la alza per baciarla e controvoglia il marito della donna clic clic scatta un paio di fotografie.

– arrivederci, conte
e me ne esco a passo veloce, ridendo fra me e me.
cammino sotto i portici di piazza ducale.

c’è un caffè.
la barista pulisce il bancone.
– ma in questa città siete tutti un po’ originali?
– penso di sì. io sono di reggio emilia e questi di sabbioneta mi sembrano un po’…
– ha insalata? – interrompe una donna anziana. è vestita con grandissima eleganza ma poveramente. i guanti di filo, il maglioncino su una camicetta da nonna nella pubblicità della candeggina ace, la gonna bene stirata.
la vecchia è alta, magra, eretta, con la crocchia candida.
gli occhi celesti pallidi fissano nel vuoto alle spalle della barista.
– ha insalata? a casa non ho insalata. le compro dell’insalata.
– signora ho un po’ di foglie di insalata per guarnire i panino, ma non ne ho molta.
– grazie. pazienza.
e la nonna elegante e povera si gira ed esce dal bar.

la barista mi guarda e conclude:
– sì, qui c’è molta gente balzana.

forse c’è qualcosa nell’aria di sabbioneta.
o qualcosa nel cibo.
ma penso che forse sia nell’anima di questa città, nata da un’idea balzana di un duca balzano che ha regalato al mondo un gioiello senza pari.

(3 – fine – terzo e ultimo di tre articoli. per leggere il primo articolo su sabbioneta, l’imperatore austriaco, il duca figlicida e il reverendo in tonaca clicca qui. per leggere il secondo articolo su sabbioneta, shakespeare e il sogno d’una notte di mezz’estate clicca qui).

  • Rosalia |

    Grande Conte moretti

  • Jacopo Giliberto |

    grazie per il contributo, gentile alberto.

    grazie per l’apprezzato commento: come avrà intuito, non amo essere appiattito sulle descrizioni *di genere*, e in questo vado d’accordo con i suoi concittadini, diversi dei quali mi paiono svitati almeno quanto lo sono io.

    evidentemente ho sbagliato il sindaco di riferimento, boni, oppure il reverendo, riva.
    mi scuso con gli interessati.
    preferisco però non ritoccare l’articolo per correggerlo, affinché la sua precisazione sia comprensibile per i lettori.
    se correggessi l’articolo, il lettore non capirebbe più il motivo della sua osservazione.

    sull’incoronata, confermo; sì, lo so che in precedenza il tempio era chiuso ai visitatori, e ora per fortuna è accessibile.
    accessibile sì ma – come ho scritto – con il vincolo di divieto d’accesso per gli accompagnatori del comune; ed era questo l’aspetto che trovavo curioso.

    sulle eventuali sviste storiche, me ne dispiaccio.
    mi chiedo quali, gentile alberto.
    forse è una svista (voluta) quando scrivo che vespasiano gonzaga non ne poteva più di vivere nel palazzo ducale di mantova, mia lettura scherzosa-ma-non-troppo perché il nostro (anzi, il vostro) gonzaga a mantova rimase ben poco. fra guerre, commende e impegni istituzionali era sempre a zonzo per il mondo (per esempio, rimase a lungo alla corte di spagna).
    ma altri errori propriamente detti, mmm, non ne ho trovati.

    sarzi madidini, lei teme che questa sede non sia il luogo corretto per approfondire le mie notizie storiche *non corrette* (o forse sono corrette ma *rinterpretate in chiave personale*).
    nonò, non abbia timore.
    questo spazio va benissimo, se ha voglia e tempo di entrare nei dettagli.
    (se ha voglia e tempo).
    racconti su temi storici così suggestivi sono sempre interessanti, per noi svitati.

  • Alberto Sarzi Madidini |

    Gentile dott. Giliberto vorrei approfittare del fatto che lei mi cita nel suo scritto per fare alcune brevi considerazioni. Apprezzo il punto di vista creativo con il quale lei racconta la nostra città, sicuramente è inusuale e non appiattito su descrizioni piuttosto “standard” tipiche di molti giornalisti e divulgatori. Le segnalo solo che alcune notizie storiche non sono corrette ma forse non è questa la sede per approfondirle.
    Ritengo invece sia necessaria una precisazione, anche perché lei fa nomi e cognomi, a proposito della “lite” tra sindaco e parroco che, così come è descritta, è “storicamente impossibile”.
    Cesare Boni è stato sindaco di Sabbioneta dal 1996 al 2004, la “lite” (che in realtà è una questione molto più articolata) è del 2000, don Samuele Riva è stato nominato parroco di Sabbioneta nel 2012; epoche diverse quindi: i due istituzionalmente non si sono mai conosciuti.
    Oggi molte cose sono cambiate, Sabbioneta resta forse una città “…con una vena nascosta di follia…” come lei afferma, però quanto meno, e anche lei ha potuto goderne, la chiesa dell’Incoronata ora è aperta ogni giorno, cosa impossibile fino a pochi mesi fa.
    Grazie.
    Cordiali saluti.
    Alberto Sarzi Madidini

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