quello che scienziati e politici non ti dicono sul cambiamento del clima

(in fondo, un'aggiunta dell'8 ottobre su lomborg)

oltre ai "negazionisti", ci sono anche i perplessi, i dubbiosi.
i negazionisti sono quelli che dicono che il cambiamento climatico è una bùbbola. dicono che se c'è, non è di origine umana ("antròpica"). dicono che se proprio proprio siamo noi, con i nostri stili di vita pazzi, a indurre un cambiamento del clima, l'unica risposta sensata è l'energia nucleare "che emette zero anidride carbonica".
(in realtà, il ciclo di vita delle centrali nucleari ha emissioni di anidride carbonica, ma decisamente poche se confrontate con le altre tecnologie convenzionali di produzione di energia).

i dubbiosi invece sono quelli che dicono: il problema del cambiamento climatico c'è, è importante, ma per controbattere le emissioni di co2 lo strumento del protocollo di kyoto è del tutto inadeguato. e con il protocollo di kyoto, sono perdenti le strategie come quella europea con il pacchetto 20-20-20.

a roma la rivista formìche ha organizzato un incontro per ascoltare i dubbiosi.
dubbiosi come roger pielke jr dell'università del colorado, firmatario dell'hartwell paper e autore del libro "il pasticcio del clima: quello che gli scienziati e i politici non dicono a proposito del riscaldamento globale".  (the climate fix: what scientists and politicians won't tell you about global warming).
il libro è stato pubblicato negli stati uniti e la rivista formìche nel prossimo numero ne anticiperà alcuni capitoli, tradotti in italiano.
i dettagli e i documenti all'indirizzo web www.formiche.net/clima

più sotto ne pubblico qualche passo, per gentile concessione della rivista formìche.

che cos'ha detto pielke all'incontro?
"tagliare del 30 per cento le emissioni di co2, senza innovazioni tecnologiche, significa soffocare lo sviluppo. e questo lo hanno capito bene cina e india che non vogliono deprimere le loro economie in nome della decarbonizzazione".
target ambiziosi, secondo pielke jr, "sono assolutamente irrealizzabili, da qui il titolo sul 'pasticcio del clima'. il regno unito, ad esempio, si è autoassegnato l'obiettivo del taglio del 34% (più di quello ue quindi che è del 20%) ma per raggiungere questa meta dovrebbe aprire 40 centrali nucleari in 5 anni; impossibile. è l'innovazione delle politiche la chiave di volta della decarbonizzazione. un nuovo approccio nell'agenda politica internazionale può essere mutuato dai governi dall'esperienza sanitaria".
nella lotta alle malattie gli investimenti sono stati focalizzati in un approccio "malattia per malattia". non si è pensato di avere il controllo della durata della vita, così come non è pensabile poter controllare il totale delle emissioni. "serve un approccio diverso: tecnologia per tecnologia. e investimenti in innovazione".
non basta.
bilancio in rosso per il protocollo di kyoto nella valutazione costi-benefici. "solo quest'anno si sono tenuti 100 giorni di meeting internazionali, con le delegazioni di 130 paesi che viaggiando in aereo e poi in auto per il pianeta hanno fatto innalzare il livello delle emissioni inquinanti. e questo è avvenuto con continuità negli ultimi 13 anni, dalla firma del febbraio 1997", dice il direttore generale del ministero dell'ambiente corrado clini. in termini di vantaggi apportati e risultati politici, ha aggiunto clini, "gli stati uniti sono rimasti fuori. mentre il trend di riduzione delle emissioni registrato nell'unione europea, italia compresa, è per lo più dovuto alla crisi economica e ai cambiamenti tecnologici che hanno generato efficienze. sarebbe molto azzardato dire che il driver ambientale ha di per sé funzionato. del resto, gli obiettivi per paese e l'approccio top-down (comando e controllo) del protocollo funzionano quando si ha un obiettivo unico, ad esempio: riduzione del particolato che è un inquinante. mentre nel caso delle emissioni di gas serra questo approccio, definito 13 anni fa, non funziona perchè sono date da molto componenti.
l'approccio di kyoto si è rilevato un modo astratto per affrontare il tema ambientale. occorre cambiare format assumendo la decarbonizzazione come obiettivo industriale e non meramente ambientale", ha auspicato infine clini.

ecco un passo tratto da “the climate fix”, di roger pielke jr.

di roger pielke

l’economia, da sola, probabilmente non basterà a stimolare una riduzione drammatica del consumo di combustibili fossili, anche se fonti alternative venissero sviluppate a costi minori. questo perché il processo di ricerca di alternative convenienti ai combustibili fossili potrebbero avere l’effetto perverso di stimolare un’estrazione accelerata dei secondi, poiché i proprietari di tali risorse avrebbero fretta di capitalizzare al momento presente – il momento migliore per farlo, dato che queste stesse risorse sarebbero destinate a perdere valore in futuro. l’economista tedesco hans werner-sinn lo ha definito il “paradosso verde”. cosa significa? significa che probabilmente una qualche forma di impegno politico a mantenere in vita i combustibili fossili dovrà accompagnare l’innovazione relativa alle fonti energetiche alternative. tale impegno sarebbe assai più probabile in presenza di fonti alternative più convenienti di quelle fossili disponibili, mentre sarebbe impossibile senza queste alternative. l’innovazione deve quindi essere al fronte e al centro.
un ruolo chiave in questa innovazione sarà dei governi. i programmi governativi sono stati parte integrante di altre sfide, quali la lotta alle malattie, dove gli investimenti sono stati focalizzati in un approccio “malattia per malattia”. allo stesso modo, il progresso energetico avverrà “tecnologia per tecnologia”, investendo in innovazione.  fortunatamente, come dimostrano i progressi medici e in altri campi come l’agricoltura e la difesa, l’innovazione è qualcosa che i governi, a livello nazionale e internazionale, sono stati in grado di gestire bene per interi decenni.
nel 2009 l’arizona state university e la clean air task force, un organizzazione non profit con sede a boston, hanno organizzato una serie di workshop per esaminare il ruolo del settore pubblico nel promuovere l’innovazione tecnologica nella politica climatica. la loro analisi si riferisce a quello che si può fare negli stati uniti, ma le loro conclusioni sull’accelerazione dell’innovazione energetica hanno implicazioni globali:
per migliorare le prestazioni del governo, ed ampliare le opzioni e i sentieri di innovazione, il congresso e l’amministrazione  devono promuovere la competizione all’interno del governo. competizione vuol dire allocazione delle risorse in base ai risultati. si ritiene che gli stati uniti dipendano eccessivamente da un’unica agenzia per l’inno
vazione energetica. agenzie e programmi che offrano risultati concreti dovrebbero essere premiati con risorse addizionali: quelli che non lo fanno, dovrebbero essere ridimensionati o liquidati. l’implicazione è che l’innovazione energetica ha bisogno di essere condotta attraverso una varietà di istituzioni, con una valutazione continua delle performance

per far avanzare le tecnologie anti-gas serra prive di una logica di mercato, il governo dovrebbe perseguire in modo selettivo l’innovazione climatico-energetica attraverso le opere pubbliche (…) i partecipanti al workshop offrono alcune analogie di tecnologie a sostegno pubblico: i vaccini per le influenze pandemiche, le dighe anti-alluvione e i vettori aerei
per stimolare i meccanismi di mercato, i governi devono riconoscere il ruolo chiave dei progetti dimostrativi nel campo dell’innovazione energetico-climatica, in particolare per progetti con potenziali applicativi nel settore delle utility elettriche. i progetti dimostrativi possono aiutare ad aggirare le preoccupazioni per le incertezze tecnico-economiche che spesso limitano l’adozione di nuove tecnologie. si indica nella cattura e sequestro di co2 l’esempio di una tale tecnologia, che potrebbe beneficiare della dimostrazione su ampia scala per provare (o smentire) la propria adeguatezza
per catalizzare o accelerare l’innovazione, il governo dovrebbe diventare un consumatore primario  di prodotti o sistemi tecnologico-energetici innovativi. i governi pagano un’alta bolletta energetica, e pertanto possono stimolare la domanda di mercato,  spingendo in basso i prezzi e creando le condizioni di fiducia per quei prodotti che sono vicini alla commercializzazione.

ed ecco, di corrado clini, un passo della prefazione del libro "come cambia il cambiamento climatico" pubblicato da formìche.

di corrado clini

cambia, perche emerge l'ambiguità , ed era ora, del meccanismo politico-scientifico avviato con l'ambizione dichiarata di usare il clima come driver per trasformare l'economia mondiale, parallela alle politiche praticate in materia di energia e commercio internazionale per nulla o poco influenzate alle strategie climatiche.
la conferenza di copenaghen che avrebbe dovuto far confluire le politiche energetiche e del commercio internazionale nel driver climatico, ha invece messo in evidenza le contraddizioni ed ha seppellito il modello kyoto, tanto aro alle nazioni unite ed a molti paesi ue.
vale la pena ricordare che gia al g8 dell'aquila, anche se era stato condiviso da tutti l'obiettivo – politico – di ridurre entro la meta del secolo le emissioni globali di anidride carbonica in modo da limitare l'aumento della temperatura entro 2 gradi, era stato anche messo in evidenza che era necessario cambiare il meccanismo costruito attorno al protocollo di kyoto: la modifica del sistema energetico mondiale necessaria per ridurre le emissioni deve essere sostenuta da misure per la diffusione e lo sviluppo delle tecnologie a basso contenuto di carbonio nei paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo, da meccanismi finanziari a supporto delle trasformazioni tecnologiche delle economie emergenti e della protezione dei paesi piu poveri dagli effetti dei cambiamenti climatici, da nuove regole dell'organizzazione mondiale del commercio per il superamento delle barriere tariffarie alla diffusione delle tecnologie a basse emissioni, da garanzie internazionali per evitare che gli impegni di riduzione delle emissioni in alcuni paesi provochino vantaggi distorsivi
a favore di altri.
un "pacchetto¨ complesso di problematiche e interessi che solo in parte era stato preso in considerazione nell'ambito del negoziato internazionale guidato dal segretariato delle nazioni unite e dalla danimarca, e che certamente richiedeva risposte diverse dalla semplice definizione di obiettivi egali di riduzione delle emissioni come fu per il protocollo di kyoto nel 1997.
e i molti problemi ancora aperti avevano fatto dire a meta novembre al presidente usa barack obama ed al presidente cinese hu jintao che sarebbe stato impossibile raggiungere a copenaghen un accordo tra tutti i paesi in rado di sostituire il protocollo di kyoto.
in altre parole, usa e cina avevano segnalato l'esigenza di proseguire ed approfondire il negoziato sui molti temi ancora aperti. in particolare: il senato usa nell'ottobre 2009 aveva negato la "corsia preferenziale" al disegno di legge per introdurre limiti alle emissioni di co2 con un meccanismo simile a quello europeo, per la mancanza di stime sui costi e a causa di una valutazione preoccupata sugli effetti in termini di sicurezza energetica e sovranita nazionali. inoltre il senato usa aveva espresso la contrarieta ad assumere impegni che non fossero stati condivisi anche dalle economie emergenti, a partire da cina e india; la cina, pur impegnata ufficialmente a migliorare con politiche interne l'efficienza energetica ed a ridurre l'intensità di carbonio della propria economia,  era contraria ad assumere impegni internazionali di riduzione delle emissioni che avrebbero potuto
compromettere il diritto alla crescita economica e la sovranita nazionale in materia energetica e commerciale. e in ogni caso la cina non era disponibile a prendere in considerazione alcuna ipotesi di impegno internazionale se prima non ci fosse stato un impegno consistente e formale degli usa e delle altre economie dell'area ocse per aiuti finanziari e tecnologici di lungo periodo a favore dello sviluppo delle energie pulite e a basso contenuto di carbonio elle economie emergenti e nei paesi in via di sviluppo.
purtroppo la danimarca e le nazioni unite, con l'appoggio dell'unione europea, non hanno capito il messaggio ed hanno continuato a sostenere l'elaborazione di proposte confuse e complesse con l'ambizione di trovare una base comune per un accordo impossibile.

 

  (aggiunta di venerdì 8 ottobre, ore 14 circa) 

segnalo questa nota del cobat (il consorzio di riciclo delle batterie e degli accumulatori) sul negazionista lomborg.
vidi lomborg di sfuggita nel dicembre scorso, a copenaghen, durante il summit onu del clima cop15. eravamo nel bella center, la fiera alle porte di copenaghen, e nel media center del summit biørn lomborg stazionava sulle poltroncine del salottino per farsi intervistare, mentre un'addetta stampa cercava i giornalisti che volessero intervistarlo.
una stretta di mano e ci scambiammo i biglietti da visita.

“sebbene il mondo abbia molti problemi ambientali, si intravede una netta tendenza al miglioramento”. è quanto ha dichiarato bjørn lomborg, studioso di problemi ambientali di fama internazionale, intervenendo alla convention del consorzio nazionale batterie esauste (cobat). “segnali positivi – ha proseguito lomborg – arrivano dallo sviluppo tecnologico e dalla crescita economica. le condizioni dell’ambiente, infatti, sono
evidentemente migliori nei paesi più sviluppati. è per questo che, se vogliamo trovare soluzioni di lungo termine, dobbiamo stimolare crescita e ricerca”. 
“sul tema del clima – ha sottolineato lo studioso – dopo quasi vent’anni le politiche alla kyoto si sono rivelate sterili o fallimentari dato che prospettano un costo elevatissimo e bassi benefici, che fra l’altro sono assai lontani nel tempo e largamente aleatori. il copenhagen consensus – ha concluso – suggerisce un approccio razionale: bisogna investire importanti risorse in ricerca e sviluppo delle fonti rinnovabili, in modo da renderle sempre meno costose e più intrinsecamente competitive”.

  • jacopo giliberto |

    esattamente: considerando il ciclo di vita complessivo (cioè anche il ciclo del combustibile, lo stoccaggio dei residui irraggiati e così via) anche le centrali nucleari hanno un’emissione di anidride carbonica, come scrivevo qui sopra.
    tuttavia, duccio, è un’emissione assai più modesta (assai più modesta) rispetto a una centrale che usa olio combustibile, oppure metano, o ancora carbone.
    sul fatto che la produzione dell’uranio arricchito sia devastante per l’ambiente (il lavaggio di grandi quantità di minerale grezzo con acido solforico, per esempio), me l’hanno detto in molti, e penso per esempio al caso del ruolo che ha la francia nel controllo del niger, paese africano francòfono ricchissimo di uranio.
    bisognerebbe approfondire, lo spunto non è banale. ci proveremo?
    sono d’accordo con lei, duccio, quando chiede di considerare tutto il ciclo di vita, l’interezza della tecnologia, ma i confronti danno risultati ben diversi da quelli che immagina.
    il nucleare inquina?
    allora però facciamo il confronto con il ciclo di vita di una centrale (poniamo) turbogas a ciclo combinato come quelle che sono l’efficiente e moderna ossatura del parco centrali dell’italia.
    quanto metano viene disperso a bocca di pozzo, sul giacimento?
    quanto costa in termini ambientali la depurazione del gas dai terrificanti composti di zolfo che contiene?
    ho scattato qualche fotografia impressionante alla montagna di zolfo giallo brillantissimo, color canarino, puro; zolfo che ogni giorno si accumula a fianco dello stabilimento enorme di purificazione del metano di orenburg, siberia meridionale, estratto dai pozzi appena di là dal confine, in kasakhstan.
    montagne di zolfo.
    tonnellate l’ora.
    i nastri trasportatori e le tramogge rovesciano polvere su polvere.
    si accumulano, quelle montagne, perché non ha mercato: la disponibilità di zolfo da desolforazione dei combustibili è altissima.
    a orenburg, costruita a fine settecento sulla riva zanzarosissima del fiume ural, tutto è targato gazprom. i treni, il coro, il teatro comunale, la banca (gazprombank). in piazza c’è il monumento alla gazprom (bruttino, per la verità). e lì, zolfo su zolfo. ogni ora, ogni giorno.
    ogni volta che accendiamo il fornello per fare il caffè, si producono granellini di zolfo all’altra estremità del tubo lunghissimo migliaia di chilometri.
    ancora: non so quanto metano sfugge lungo le migliaia di chilometri di condutture che portano il metano per migliaia di chilometri dalla siberia o dalle pietraie infami di hassirmeli o hassi messaud in mezzo al deserto algerino più piatto e deprimente, di cui ricordo lo scenario notturno del fiammeggiare di torce petrolifere sopra ai pozzi.
    e il metano, liberato nell’aria, ha un effetto serra assai più cospicuo rispetto all’anidride carbonica.
    non sto dicendo che il nucleare è più pulito, più ecologico, del metano. il metano è sicuramente una fonte energetica tra le più efficienti e pulite.
    sto dicendo una cosa diversa.
    sto dicendo, duccio, che per valutare se è meglio una tecnologia oppure l’altra dobbiamo scegliere elementi confrontabili tra loro: il nucleare emette gas serra non nella fase di produzione elettrica bensì nella fase di lavorazione dell’uranio, ma allora confrontiamolo ad armi pari con le altre tecnologie.
    perché lo stesso raffronto andrebbe fatto – che so – per il fotovoltaico con il silicio.
    non so – confrontando l’intero ciclo di vita – chi vincerebbe per ecologia (e non è una frase allusiva: non so dav-ve-ro chi vincerebbe).

  • Duccio Frontino |

    Vorrei solo far presente che quella delle Centrali Nucleari ad emissioni zero è una balla colossale.
    Perchè non si prende in considerazione tutto il ciclo produttivo?
    Perchè non si considera mai il “combustibile” di queste Centrali?
    Viene nascosto a tutti che il processo di estrazione ed arricchimento dell’uranio è tra i più devastanti per l’ambiente, richiede inoltre quantità di energia tali che una Centrale dovrebbe lavorare anni ed anni solo per per questo.

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