per capire. pubblico questa nota di corrado clini, direttore generale al ministero dell'ambiente e negoziatore italiano sul clima.
che cosa scrive clini?
spiega quali sono i problemi veri (ve-ri) che hanno portato al fallimento sostanziale del summit di cancun, dopo quello di copenaghen un anno fa.
da lèggere con attenzione.
copenaghen-cancun
di corrado clini
un anno dopo , i problemi che avevano impedito l'accordo di copenaghen restano aperti, con ulteriori elementi di difficoltà.
la comunità internazionale ha confermato a cancun l'obiettivo di ridurre entro la metà del secolo le emissioni globali di anidride carbonica in modo da limitare l'aumento della temperatura entro 2 gradi.
ma nel 2010 è stata già raggiunta una concentrazione di co2 equivalente di 450 ppmv, la stessa corrispondente all'obiettivo di 2°c.
e gli scenari fino al 2035, nonostante la crisi, prevedono aumenti significativi (+ 45%) delle emissioni globali di co2 . trascinati dalla crescita dei consumi di energia sostenuti prevalentemente dall'uso dei combustibili fossili.
emerge chiaramente la contraddizione tra gli scenari energetici necessari ad assicurare la riduzione delle emissioni per rispettare l'obiettivo dei 2 gradi, e la realtà delle politiche energetiche globali.
secondo il 2010 energy technology perspectives dell'agenzia internazionale dell'energia, le emissioni globali di co2 dovrebbero cominciare a scendere significativamente dal 2020, ovvero entro 10 anni dovrebbe essere ridotto progressivamente il consumo di combustibili fossili.
tale prospettiva richiederebbe, da subito, un accordo globale su
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un programma di "phasing out " di combustibili e tecnologie ad alto contenuto di carbonio, sostenuto dalla introduzione di standard globali di "intensità di carbonio" per le tecnologie energetiche da applicare nell'ambito delle regole dell'organizzazione mondiale del commercio;
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una "carbon tax" globale da applicare ai combustibili in relazione al loro contenuto di carbonio, al fine di rendere competitive le opzioni tecnologiche alternative;
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il superamento delle barriere tariffarie alla diffusione delle tecnologie a basse emissioni.
si tratta di una previsione che diverge in modo evidente dagli investimenti in corso o programmati , del valore di decine di miliardi $, per aumentar la disponibilità di combustibili fossili, sia attraverso l'estrazione di olio e gas naturale che la realizzazione di infrastrutture di trasporto e produzione di combustibili ed elettricità.
gran parte di questi investimenti è destinata a rispondere alla domanda di energia crescente in asia, sud america ed in alcune regioni dell'africa.
la disponibilità di energia rappresenta una chiave essenziale per lo sviluppo sostenibile e l'uscita dalla povertà, e nessuno può chiedere alla cina, all'india, all'indonesia, al sud africa, all'egitto o al brasile di precipitare di nuovo nel sottosviluppo per salvare il pianeta.
d'altra parte, senza il contributo di questi paesi, la riduzione delle emissioni globali è un puro miraggio: ovvero questi paesi dovrebbero essere la sede privilegiata degli investimenti mondiali per lo sviluppo e la disseminazione delle tecnologie innovative a basso contenuto di carbonio , come concordato in linea di principio a copenaghen.
decisione non semplice, perché destinata a rafforzare la competitività delle economie emergenti che già hanno livelli e ritmi di sviluppo molto più veloci di quelli delle cosiddette economie sviluppate.
decisione ancora più difficile per la crisi finanziaria che "morde" le economie dei paesi sviluppati e riduce la disponibilità delle pur limitate risorse "fresche" da destinare nel triennio 2010-2012 al fondo per i paesi in via di sviluppo deciso a copenaghen : invece di risorse "nuove e addizionali", come previsto dall'accordo, la maggior parte dei paesi sviluppati ha di fatto presentato a cancun il rendiconto di progetti finanziati con i fondi "tradizionali" già destinati ai paesi in via di sviluppo.
se la contraddizione tra politiche e investimenti in campo energetico da un lato, e obiettivi di riduzione delle emissioni dall'altro, è il principale ostacolo infrastrutturale al negoziato sui cambiamenti climatici, le diverse prospettive nazionali di crescita economica e sicurezza energetica rendono ancora più complicata la soluzione del "puzzle climatico" sul quale la comunità internazionale si esercita ormai da vent'anni.
ha pesato a cancun la "marcia indietro" degli usa, che a copenaghen avevano annunciato impegni che non sono stati rispettati.
il senato usa ha negato la "corsia preferenziale" al disegno di legge sostenuto dal presidente obama per introdurre limiti alle emissioni di co2, per la mancanza di stime sui costi e per i possibili effetti in termini di sicurezza energetica e sovranità nazionale. a questo proposito, il senato usa ha espresso la contrarietà ad assumere impegni che non siano condivisi anche dalle economie emergenti, a partire dalla cina che rappresenta il principale competitor dell'economia usa. .
e a fronte della posizione usa emerge quella quasi speculare della cina, che dal 2008 ha "scalzato" gli usa dal primato del maggior consumo di energia e delle maggiori emissioni di co2.
la cina è impegnata ufficialmente a migliorare con politiche interne l'efficienza energetica ed a ridurre l'intensità di carbonio della propria economia : solo nel 2009-2010 ha investito oltre 40 miliardi $ per lo sviluppo delle tecnologie energetiche a basso contenuto di carbonio, oltre il doppio degli investimenti usa
tuttavia la cina ha molte difficoltà ad assumere impegni internazionali vincolanti di riduzione delle emissioni, che potrebbero comprometterne il diritto alla crescita economica e la sovranità nazionale in materia energetica e commerciale.
e in ogni caso la cina lega la sua disponibilità ad un chiaro impegno degli usa e delle altre economie sviluppate, che includa sia la riduzione delle emissioni (il cosiddetto "kyoto 2") sia l'erogazione di aiuti finanziari e tecnologici di lungo periodo a favore dello sviluppo delle energie pulite e a basso contenuto di carbonio nelle economie emergenti e nei paesi in via di sviluppo.
il negoziato internazionale sul clima è rimasto bloccato su queste contraddizioni, che il protocollo di kyoto non è stato in grado e non poteva risolvere.
tuttavia il proseguimento del protocollo di kyoto (kyoto 2) res
ta un'opzione sul tavolo, sostenuta sia dalla ue che dai paesi in via di sviluppo, preoccupati di perdere l'unico contesto internazionale di negoziato sul clima.
questa posizione, per quanto comprensibile, è un diversivo rispetto ai nodi negoziali, e rischia di rappresentare una copertura per non affrontare le questioni cruciali della crisi climatica
forse, pur lasciando aperta la strada ad un kyoto 2, l'europa potrebbe dedicarsi alla promozione di una iniziativa internazionale per "testare" le possibili opzioni tecnologiche e le regole necessarie a promuovere una economia globale "de carbonizzata" in grado allo stesso tempo di sostenere la crescita e ridurre le emissioni, come indicato dall'agenzia internazionale dell'energia.
l'europa, il più grande mercato integrato del pianeta che ha già raggiunto livelli significativi di efficienza e innovazione, è già oggi nelle condizioni di costruire e rappresentare una piattaforma globale per l'innovazione e la disseminazione delle tecnologie a basso contenuto di carbonio, in collaborazione con brasile, cina, india e le economie emergenti da un lato, e con usa, canada, giappone dall'altro.
in questa prospettiva, l'europa dovrebbe riorientare la sua ormai ventennale politica climatica dall'approccio regolatorio unilaterale ad una strategia globale di leadership tecnologica nei settori chiave per lo sviluppo sostenibile del pianeta.