la prima guerra del petrolio si combatté nel 1916, mentre in europa gli eserciti si massacravano nella prima guerra mondiale.
il racconto che segue è mio. tutto mio. ed è ricco di fotografie originali e documenti.
la gran bretagna aveva deciso di alimentare le navi della royal navy non più con il carbone ma con la nafta.
per assicurarsi gli approvvigionamenti di nafta per la flotta, tentò di mettere le mani sui giacimenti del golfo persico. invase l’irak di allora, che si chiamava ancora mesopotamia e dipendeva dall’impero ottomano. una storia tragica ed esaltante.
una vicenda in due tempi. una prima spedizione tentò di arrivare a bagdad. fu una sconfitta sanguinosa e dolentissima. il corpo militare inglese si ridusse a kut el-amara, sulla sponda del tigri, in un assedio senza speranze: dovettero arrendersi in 13mila, la metà morì dopo una prigionia straziante.
fu organizzata una seconda spedizione: questa volta bene armata, dotata delle migliori tecnologie belliche. bagdad fu conquistata, l’armata arrivò fino alla siria e alla palestina, che entrarono nell’orbita di londra, e i giacimenti iracheni furono ripartiti fra le compagnie petrolifere di allora: la standard oil di rockefeller (la s.o. diventata esso e poi exxon e infine exxon mobil), la shell, l’anglo-persian diventata bp, la gulf, la mobil e così via.
la vicenda nasce da winston churchill: nel 1911 era primo lord dell’ammiragliato, cioè ministro della marina. approvò il piano di costruzioni della flotta per gli anni successivi: la costruzione di una divisione di cinque grandi corazzate di ultimo modello. il nome della prima nave della serie, la "dreadnought", divenne per antonomasia il termine di nave da battaglia, ovvero corazzata.
navi che – primo caso al mondo – invece di bruciare carbone, avrebbero usato nafta.
apriti cielo: il carbone era una risorsa nazionale, i minatori del galles e gli azionisti delle miniere contestavano duramente ogni ricorso a combustibili concorrenti.
eppure, la tecnologia imponeva questa scelta.
il carbone è voluminoso, polveroso e solido.
dovevano essere costruiti stoccaggi in tutti i recessi della nave, e alcuni depositi di pronto impiego in prossimità delle sale macchine.
buona parte dei marinai era impiegata nel trasferimento continuo del carbone da una parte all’altra della corazzata, a mano a mano che se ne consumava, per tenere sempre equilibrati i pesi e quindi ridurre l’istabilità della nave.
per poter aumentare la riserva di combustibile, il carbone andava compresso, schiacciato dei depositi.
con questo viavai di scarriolanti del carbone, anche in battaglia i portelli interni erano sempre aperti e le paratie stagne non potevano assicurare l’ermeticità: ci furono così naufragi terribili.
le griglie delle caldaie si riempivano subito di cenere, che andava spalata fuoribordo di continuo (nelle grandi navi attraverso tubi di scaricamento della cenere che davano direttamente fuoribordo con un foro attraverso lo scafo), mentre dal fumaiolo uscivano faville e nuvole nere che consentivano di individuare con esattezza la nave a grandissima distanza: una manna per i direttori di tiro delle navi nemiche.
il carbonamento era un’altra operazione scomoda.
per fare rifornimento tutto l’equipaggio, ufficiali compresi, si dedicava alle operazioni di carico del combustibile, con sacchi e ceste.
in questo viavai di ceste e sacchi di carbone, la nave si copriva in breve di polvere nera, che si depositava in ogni angolo più remoto, dalle gamelle del rancio fin sulle alte uniformi usate dagli ufficiali per il ballo di gala.
non a caso, gli ufficiali di marina e in genere anche i marinai usano per le divise il colore bianco: permette di individuare sùbito le macchie di carbone.
quando i depositi di carbone erano mezzo vuoti, la corazzata doveva staccarsi dalla squadra navale per fare scalo a terra con viaggi a volte talmente lunghi che bruciavano buona parte del rifornimento appena fatto.
un incrociatore con motori avanti-tutta ne bruciava 60 tonnellate l’ora su un carico di 4mila tonnellate: in tutto, 60-70 ore di autonomia alla velocità massima.
inoltre, era necessario assicurarsi basi navali nei posti più remoti per alimentare le navi. non a caso gli inglesi avevano basi navali sparse dappertutto: per consentire alla flotta punti di rifornimento del carbone. e una flotta oceanica come quella inglese non poteva permettersi di perdere le posizioni strategiche per il carbonamento: isole (come le falckland o malta) e porti (come gibilterra).
ne sapevano qualcosa i russi che nel 1904 cercarono di raggiungere port arthur, lüshunkou, la città in manciuria (a sud di vladivostok) che era assediata dai giapponesi.
la flotta imperiale del baltico, partita da pietroburgo, era alimentata da carbone. traversò l’atlantico e il mediterraneo e cercò di fare carbonamento in madagascar. dovette aspettare due mesi per riuscire a rifornirsi: due mesi di ritardo che furono all’orgine della terrificante battaglia di tsushima nella quale, era il maggio 1905, la flotta imperiale giapponese spazzò la flotta imperiale russa.
tra le poche navi russe scampate ci fu l’incrociatore aurora (avrora), il quale nel 1908 portò soccorso ai terremotati di messina. la sconfitta russa scatenò i moti antizaristi del 1905 (l’incrociatore potemkin, quello del film di sergei eizenstein e della parodia di fantozzi, si ammutinò nel giugno 1905, appena giunta la notizia della sconfitta di tsushima), moti che nel 1917 si completarono con la rivoluzione d’ottobre, segnata dagli spari dell’incrociatore aurora, ancora oggi ormeggiato – monumento alla tecnologia del carbone e dell’acciaio – sul molo di pietroburgo.
al contrario la nafta, liquida, si disponeva da sola nel modo più stabile ed equilibrato fra i vari serbatoi, collegati con tubi comunicanti, serbatoi che potevano essere costruiti nei luoghi più comodi senza bisogno di problemi di livello e di compressione del carbone per ridurne l’ingombro.
l’alimentazione delle caldaie era fatta con tubature interne alla nave, senza viavai di marinai.
la nafta consentiva uno spunto maggiore di velocità alla nave.
dava un raggio d’azione maggiore del 40%-50% a parità di peso di combustibile e del +80% a parità di volume.
le caldaie potevano essere forzate del 50% in più.
il rifornimento della flotta poteva essere fatto in viaggio, con un tubo, un "cordone ombelicale" fra la corazzata e una petroliera al seguito della squadra navale.
il risultato dell’uso della nafta era: gli equipaggi meno ingombranti, in battaglia potevano essere concentrati sulle sole attività belliche; maggiore velocità e autonomia delle navi; maggior peso da dedicare ad armi, corazze, cannoni, motori, e dislocamenti comunque più contenuti; il fumo dei camini poteva essere prodotto a richiesta, per offuscare ai nemici la nave in una nube.
il problema veniva dal fatto che la nafta era appannaggio di pochi.
il 64% delle riserve erano in mano a rockefeller, il 18% alla russia, tramite i giacimenti di baku.
l’inghilterra aveva però la raffineria di abadan, in persia (l’iran di oggi), dell’anglo-persian oil company.
ma i giacimenti persiani e la raffineria si trovavano sulla sponda persiana dello sciatt el-arab: sull’altra sponda c’erano i nemici, gli ottomani alleati della germania. bisognava tenere i turchi lontani dai giacimenti del golfo.
il 24 ottobre 1914, a guerra mondiale appena cominciata, il governo di londra diede al governo coloniale indiano il via libera a organizzare una spedizione per proteggere abadan, e cioè le risorse persiane per far marciare la flotta.
in novembre il corpo di spedizione anglo-indiano, con armi antiquate e attrezzature modeste, occupò gli scali iracheni di fao e bàssora.
furono organizzate due colonne: la prima occupò nasariyeh (nassirìa), sull’eufrate; l’altra – comandata dal generale charles townshend – verso amarah (amara), sul tigri.
amato dai suoi uomini dell’armata "mespot" (come gli inglesi soprannominavano la mesopotamia), coraggioso fino all’incoscienza, thownshend cominciò l’avventura.
qualche corvetta, qualche lancia a vapore e alcune cannoniere fluviali costituirono il nucleo della mespot navy, la marina del tigri.
attorno a queste navicelle navigava sul fiume una selva di 500 barche, chiatte, battelli, piroghe che portavano l’armata.
con un assalto ardimentoso, il 15 maggio 1915 fu conquistata la cittadina di amarah.
senza far fermare i battelli a vapore, fu intrapresa una "caccia alla volpe" contro i lenti trasporti fluviali sui quali l’esercito ottomano si ritirava verso bagdad: era l’esaltante "regata di townshend" che riempì le pagine dei giornali inglesi.
lanciando i tally-ho dei cacciatori, la "volpe" turca fu raggiunta sul fiume, stanata e sconfitta.
ma la cittadina di amarah non bastava più.
a 150 chilometri più a nord, verso bagdad, c’era kut el-amara (kut).
kut andava conquistata, anche per non far rimpiangere la penosa sconfitta inglese (e francese) appena inferta a gallipoli sui dardanelli dai turchi tedescòfili.
la mespot army – stanca, con rifornimenti scarsi e ammuffiti che risalivano il tigri partendo da un porto di bàssora che era una palude alla quale poteva approdare una nave alla volta – si lanciò verso kut.
townshend sembrava invincibile.
e da kut il generale marciò verso bagdad.
ma questa volta di fronte a lui non c’erano le guarnigioni periferiche di beduini territoriali: davanti a bagdad c’era l’esercito turco addestrato dai tedeschi.
c’erano le mitragliatrici, i reticolati e i cannoni.
davanti all’arco sassanide di ctesifonte, a 30 chilometri da bagdad, la mespot army fu massacrata. e si ritirò a kut el-amara.
i 600 feriti anglo-indiani, imbarcati su battelli e chiatte, furono rispediti a bàssora: arrivarono a bàssora dopo 13 giorni di estenuante navigazione fluviale.
i battelli dei feriti erano affollati di corpi feriti e infetti, i tavolati erano coperti di sangue e merda dissentèrica che gocciolavano fuori bordo formando concrezioni di fluidi umani che pendevano dai passacavi sulle fiancate. le ferite brulicavano di vermi e mosche inebriate, gli uomini erano coperti di bolle rosse.
nel dicembre 1915 cominciò l’assedio ai 13mila anglo-indiani di kut.
i soccorsi inglesi per kut non arrivavano: ogni tanto i biplani inglesi riuscivano a evitare la caccia dell'aviazione turca e a lanciare qualche povera provvista.
il generale aylmer (già sconfitto a gallipoli) per risalire verso kut aveva già perso 23mila uomini mandati per salvare i 13mila assediati e i rifornimenti non arrivavano nemmeno a lui, impantanato a metà strada nelle paludi insuperabili dello sciatt el-arab ("lago arabo", il delta formato dalle foci congiunte di tirgi ed eufrate).
il 26 aprile 1916 townshend e la mespot army di kut s’arresero ai turchi.
il generale fu trattato con tutti gli onori.
non così per i suoi 13mila.
furono messi in marcia a piedi attraverso i deserti, senza cibo né acqua, violentati dai loro custodi: il 50% dei sopravvissuti fu contagiato dalla sifilide.
nella marcia morì il 70% dei prigionieri inglesi e il 50% degli indiani.
alla fine dell’anno partì una seconda – e ben diversa – spedizione militare: guidata non dal governo coloniale indiano ma direttamente da londra.
erano 150mila soldati ben armati, con aerei, autoblinde.
il 10 marzo ’17 l’esercito inglese entrò a bagdad e nel settembre ’18 la grande spedizione sconfisse i turchi a meghiddo (l’armagheddon della bibbia) e s’impossessò di siria, palestina e buona parte del vicino oriente.
furono creati i confini artificiali tra i paesi del vicino oriente, i confini tra giordania, siria, irak, palestina: confini artificiali che ancora oggi creano tanti bisticci.
la pace fu firmata nel 1926 a mossul: le azioni dell’irak petroleum company (già turkish petroleum, che era controllata al 50% dall'anglo-persian, al 25% dalla shell e al 25% dalla deutsche bank) furono assegnate a compagnie britanniche (52,5%), statunitensi e francesi (21,25% per ciascuno dei due paesi); una quota spettò anche al mediatore dell’operazione.
l’anglo-persian stava già diventando bp.