arriva una petizione per il no ai referendum dell'acqua.
tardiva, difficile da spiegare, impolitica, ma c'è questa petizione.
clicca qui per leggere l'appello con la raccolta di firme
la promuove antonio massarutto, docente di economia pubblica all'università di udine, uno dei più attenti conoscitori dell'economia degli acquedotti. finora (oltre 15 del 7 giugno) in una mezza giornata di circolazione per canali tamtam la petizione ha raccolto una cinquantina di firme.
leggo qualche nome dall'elenco dei firmatari: franco bassanini, tito boeri, pippo ranci, clara poletti, marco frey.
docenti, responsabili di acquedotti pubblici, esperti di gestione dei servizi pubblici, dicono che il referendum in realtà non contrasta la privatizzazione ma al contrario danneggia gli acquedotti pubblici.
cioè ottiene l'esatto contrario di ciò che si vorrebbe.
c'è un problema. per costoro (che sono a favore dell'acqua pubblica) è difficile contrastare il luogo comune dei quesiti referendari. quesiti a effetto immediato, facili da capire, con uno slogan immediato.
ma hanno, i quesiti, un problema.
uno dei due referendum sull'acqua, in particolare, in realtà non difende l'acqua pubblica.
al contrario, ne fa carne da macello: il referendum sui cosiddetti *profitti* in realtà devasta i bilanci degli acquedotti pubblici.
che cosa dicono di contrari al referendum? ecco la loro posizione:
referendum acqua
perche’ questa raccolta firme?
le tante persone che si sono mobilitate per l’acqua, segnalano problemi concreti e meritano rispetto. la gran parte di loro è in buona fede, e più ancora, accomunata da un sincero desiderio di fare del bene.
ma chi si occupa da anni, per professione, del tema dei servizi pubblici o dell’acqua in particolare, non può che restare esterrefatto e inorridito di fronte alla mistificazione e alla brutale semplificazione che è in corso. abbiamo ruoli e tendenze politiche diverse, ma di fronte a dati scorretti, notizie vere ma assemblate in modo tendenzioso, oppure autentiche leggende urbane, non possiamo non reagire.
ecco il perché di questa simbolica raccolta di firme, a pochi giorni dal referendum. un modo per offrire qualche decisivo spunto di riflessione prima del voto.
dieci motivi per dubitare di quanto si e’ detto in questi mesi
1) ci si dice che il voto è “per l’acqua pubblica”. il referendum riguarda anche rifiuti e trasporti. esaminando le leggi ci si accorge che nessuno ha mai negato che l’acqua sia pubblica. la sua valenza di servizio universale, accessibile a tutti e garantito a tutti, non è, non è mai stata in discussione.
2) ci si dice che la “gara” è l’anticamera della svendita al privato. al contrario, la gara può essere il modo – per l’azienda pubblica – di mostrare le proprie virtù.
non si dice che gli enti locali hanno molte possibilità di mantenere la gestione pubblica se lo desiderano, ma sono obbligati a produrre evidenza della fondatezza di tale scelta, e a risponderne davanti ai cittadini.
3) ci si dice che affidare la gestione a privati è sempre e comunque un male, enfatizzando oltremisura problemi e difficoltà che pure esistono; ma si tacciono i molti casi in cui è la gestione pubblica a funzionare come “poltronificio” e “assumificio” e non come custode del bene comune.
4) ci si fa credere che: “via i privati, via il profitto e l’acqua tornerà a sgorgare gratis”. ma non si spiega che i soldi necessari ricadranno sotto forma di spesa pubblica e tasse.
5) ci si chiede di votare “contro il profitto” contenuto nelle tariffe, ma non ci si dice in che modo i gestori o gli enti locali potrebbero procurarsi le risorse finanziarie necessarie per sostenere gli investimenti. da notare che il decreto che ancor oggi disciplina le tariffe, fu firmato nel 1996 dal ministro antonio di pietro.
6) ci si dice che “l’acqua non si vende”, ma poi quando si chiedono come faremo a sostenere il costo di gestione (che comunque va pagato) si ricorre a improbabili soluzioni di finanza creativa, o vaghi risparmi in altri capitoli della spesa pubblica.
7) si vagheggiano gestioni cooperative e solidali, ma non si riesce a proporre un esempio concreto in cui tale “modello” stia funzionando. vi si assimilano, erroneamente, gestioni pubbliche che funzionano bene proprio perché hanno saputo creare aziende equilibrate che si finanziano con le tariffe. olanda, germania, stati uniti, svezia, finlandia, austria (l’elenco potrebbe continuare): realtà dove la gestione è pubblica, e non a caso le tariffe sono le più alte del mondo.
8) anche chi promuove il privato punta alla demagogia. delle gestioni pubbliche si fa un indistinto coacervo di carrozzoni in mano alla politica. dalle gare o dalla regolazione indipendente ci si aspettano soluzioni taumaturgiche, dimenticando che la regolazione deve essere costruita prima e non dopo.
9) si favoleggia di una concorrenza che non può riguardare l’acqua: non perché l’acqua sia un bene essenziale, ma perché il servizio idrico è e resta un monopolio naturale. si prospettano gare al migliore offerente, che qui non possono funzionare.
10) sui mezzi di comunicazione, gli opposti schieramenti si affrontano a colpi di slogan.
a chi non accetta di essere collocato sotto alcuna bandiera del si o del no – anche se per motivi razionali e dimostrabili – la cosiddetta “par condicio” impedisce l’accesso alle trasmissioni radio e tv.
chiediamo di sottoscrivere con nome, cognome e professione le dieci osservazioni e le e seguenti conclusioni
non intendo rassegnarmi ad un modo di ragionare primitivo, che disprezza i dati empirici e l’analisi fattuale.
non inte
ndo concentrarmi sugli aggettivi - pubblico vs. privato – ma sui sostantivi. i gestori dei servizi idrici devono essere aziende, chiunque ne sia il proprietario: soggetti comunque guidati da una razionalità economica e non più enti erogatori privi di vincolo di bilancio, come le gestioni dell’acqua sono state per decenni.
ritengo che l’eventuale coinvolgimento privato nella gestione - utile quando il pubblico non ce la fa con le proprie risorse – deve essere preceduto e accompagnato da un sistema di regolazione efficace e da un quadro normativo chiaro.
non credo che la soluzione per finanziare costi e investimenti nel settore idrico siano la fiscalità generale e la spesa pubblica.
ritengo che il referendum stia distraendo l’opinione pubblica distorcendo i problemi e prospettando false soluzioni. non è un gioco cui mi interessa giocare.
se deciderò di andare a votare per le domande sull’acqua , turandomi il naso, è solo per il profondo rispetto che nutro verso l’istituto democratico del referendum.
qualunque sia l’esito, il 14 giugno 2011, i problemi resteranno quelli di sempre: un settore che fa una fatica enorme a mobilitare le risorse necessarie per adeguarsi a standard moderni, soprattutto sul versante della depurazione.
finita la bagarre referendaria, forse si potrà ricominciare a ragionare.
se serve un supporto per ragionare insieme, razionalmente, io ci sarò.
questo l'appello di antonio massarutto.
qui, invece, parlo io.
se passa il referendum della scheda gialla, i soldi per ridurre le perdite e migliorare il servizio, per comprare i tubi nuovi, per i laboratori di analisi, per i depuratori non saranno pagati dalle tariffe di chi consuma l'acqua, nella misura in cui ciascuno consuma l'acqua.
se passa il referendum della scheda gialla, l'acqua sarà regalata a chi la spreca, a chi evade le tasse, a chi ha grandissimi consumi, a chi riempie di acque sporche le fogne.
secondo me, il comitato promotore del referendum ha sbagliato uno dei due quesiti.
la scheda gialla non è contro la privatizzazione:
è un paradosso, ma la scheda gialla è contro l'acqua pubblica.
avevo trovato e pubblicato un documento degli analisti londinesi della fitch, una delle più autorevoli società di rating, che diceva la stessa cosa: il referendum scheda-gialla blocca tutti gli acquedotti e rischia di mandarli al dissesto.
poi ho pubblicato un interessante commento di andrea gilardoni, professore alla bocconi e uno dei massimi esperti italiani di economia degli acquedotti.
e ancora, un commento di adolfo spaziani, direttore della federutility, cioè l'associazione degli acquedotti pubblici e di tutte le aziende di servizi pubblici locali.
ieri mattina ho ascoltato il parere dell'economista alessandro marangoni, tra i più noti nel settore dei servizi pubblici locali.
stamattina ho pubblicato l'elenco dei circa 150 comuni italiani messi in mora dall'unione europea perché in 13 anni non si sono dotati di depuratori. questi comuni dovranno dotarsi entro due mesi dei depuratori, dice bruxelles; la multa va da 11mila a oltre 700mila euro per ogni giorno di ritardo: chi pagherà queste multe? con le tasse, tutti noi.
dei referendm (nucleare, acqua, legittimo impedimento berlusconiano), sulla "privatizzazione" dell'acqua ci sono due schede.
uno dei due referendum riguarda i soci privati delle società acquedottistiche e di depurazione, e quindi è effettivamente relativo alla privatizzazione del servizio.
ma l'altro dei due quesiti del referendum, quello con la scheda gialla, riguarda la determinazione della tariffa del servizio dell'acquedotto idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito, e riguarda tutti, proprio tutti, gli acquedotti.
soprattutto quelli pubblici.
la domanda che ci sarà posta è:
volete voi che sia abrogato il comma 1, dell'art. 154 (tariffa del servizio idrico integrato) del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 "norme in materia ambientale", limitatamente alla seguente parte: "dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito"?
naturalmente, mi sarà caro il parere di tutti.
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