ambiente. snodi della memoria. 35 anni fa. seveso. dalla diossina all’industria moderna.

era il 17 luglio 1976.
una settimana dopo il fatto.
il "corriere della sera" e "il giorno" pubblicarono una notizia.
scrivevano che qualche giorno fa a sèveso, nella brianza delle "fabbrichètte", lo stabilimento chimico dell'icmesa ha liberato nel’aria una nuvola tossica.

sono passati 35 anni.

diossina, uno dei composti più velenosi che si conoscano. per i chimici: 2,3,7,8-tcdd cioè tetra-cloro-di-benzo-para-diossina.
fino ad allora, la parola diossina era nota soltanto ai chimici e a pochi esperti di guerra chimica: in vietnam, per togliere ai guerriglieri vietcong il nascondiglio della foresta fitta, era stato usato dagli statunitensi come defoliante l'agent orange, la cui sintesi implica la formazione di diossina.

 la fabbrica
l'icmesa era un'azienda chimica nata nel '21 a napoli: industrie chimiche meridionali società anonima.
lo stabilimento napoletano fu distrutto durante la guerra e nel '45 la società presentò al genio civile di milano la domanda per l'autorizzazione a costruire una nuova fabbrica per la produzione di farmaceutici in un terreno di sua proprietà a meda, al confine con il comune di seveso.

meda, posto di villette con il "caminètto" e, al piano di sotto, la "tavernètta".

meda, posto di "fabbrichètte",
quelle che invadono l'italia con i mobili di fòrmica e impiallacciato, quelle dove, negli anni '90, ha trovato facile terreno la lega nord che ha affratellato nel voto padroni e operai.

nel '46 lo stabilimento fu aperto e nel '47 era in produzione.
il nome era cambiato: le lettere "me" di icmesa non significavano più "meridionali" ma meda.
industrie chimiche meda società anonima.
negli anni '60 il principale cliente era la givaudan, azienda ginevrina che nel '63 era stata acquisita dalla hoffmann-la roche di basilea.
nel '65 la givaudan acquistò la maggioranza dell'icmesa, e in quattro anni rilevò tutta l'azienda brianzola.

(con le ristrutturazioni della grande chimica degli ultimi 15 anni, la givaudan di oggi non è quella di allora. l'eredità (e i costi) della vicenda di seveso sono arrivati in capo alla roche).

nel '69 cominciò la produzione di 2,4,5 triclorofenolo, composto tossico non infiammabile.

che cosa accadde
l'incidente cominciò tra venerdì 9 e sabato 10 luglio '76 durante la produzione del triclorofenolo, che per la givaudan era un prodotto intermedio dal quale in altri stabilimenti ottenere poi il prodotto finito, cioè il diserbante esaclorofene.
il ciclo produttivo del triclorofenolo era di circa 24 ore in apparecchiature (reattori) a ciclo discontinuo: caricare, compiere la reazione, svuotare.

ormai era venerdì sera. i tecnici dissero agli operai di fermare una distillazione rimasta incompleta.
il termometro della grande "pentola a pressione" segnava 158 gradi, normale per una reazione che avviene fra i 150 e i 160 gradi.
cominciava il turno di notte; gli operai lasciarono spazio ai turnisti che montavano a fare di guardia per il weekend.

ma in uno di questi reattori chimici si generarono reazioni incontrollate, con uno sviluppo di calore molto intenso, oltre i 250 gradi, che formarono diossina.

la reazione, nella pentola a pressione d'acciaio, continuava.
la pressione salì fino a 4 atmosfere e fino a spaccare il disco di rottura, cioè la solita valvola di sfogo che impedisce l'esplosione del contenitore danneggiando gli apparecchi.

a partire dalle 12,37 di sabato 10 luglio il contenuto del reattore, pieno di prodotti giunti a metà reazione (quasi 5 tonnellate), soffiò sopra il tetto dello stabilimento. per alcune ore uscirono diossina (le stime sulla reazione incontrollata dicono fra 3 etti e 1,3 quintali), glicole etilenico, soda e altri composti.
la brezza leggera distribuì la nube di prodotti tossici verso la vicina seveso e sui comuni sottovento: sulla zona a più alta contaminazione (zona a di 108 ettari), su quella a minore concentrazione (zona b di 269 ettari) e in modo irrilevante sulla cosiddetta zona di rispetto (zona r di 1.430 ettari), ma furono contaminate anche meda, cesano maderno e desio.
se non ci fosse stata la brezza, inconsueta per un caldo luglio padano, la dispersione sarebbe stata minore ma la concentrazione sarebbe stata decisamente più alta.

lunedì 12, il terzo giorno, si decise di isolare l'edificio nel quale era avvenuto l'incidente.

il 13 morirono conigli e galline.

mercoledì 14 luglio gli abitanti di seveso cominciarono a mostrare fastidiosi segni sulla pelle, la cloroacne.
e l'incidente da faccenda privatamente aziendale diventò allarme pubblico.

lentamente e senza fretta, tra i 16 e i 19 giorni successivi allo scoppio, furono sfollati tutti gli abitanti della zona a per complessive 733 persone; altre 5mila furono messe sotto controllo sanitario.
risultò poi che il numero di persone coinvolte nell'area più fortemente contaminata fu di 3.500.

che cosa fa la diossina: in teoria e in realtà
la diossina, oltre ad essere il tossico più potente mai conosciuto, è stabile alla temperatura (si scompone del tutto a ben 800 gradi) ed è resistente alla degradazione.
quali danni può provocare la diossina? cancro, effetti sull'apparato riproduttivo maschile (calo di spermatozoi, atrofia dei
testicoli, alterazione dei livelli ormonali, femminilizzazione) e femminile (scompensi ormonali, diminuzione della fertilità, aborti).

nei giovani può produrre inoltre problemi neurologici e di sviluppo. alterazioni alla pelle: cloroacne, superpigmentazione della pelle, irsutismo. aumento del rischio di diabete, perdita di peso, conseguenze sulla tiroide, danni al sistema nervoso, irritabilità, diminuzioni dello sviluppo intellettuale, danni al fegato, alterazioni del sistema immunologico.

ma a seveso, finora, niente di tutto ciò. niente, almeno, che abbia una rilevanza statistica diversa da quanto succede nel resto d'italia.

nessun morto, o meglio: un morto
a seveso non morì nessuno. morirono gli animali; gli esseri umani più esposti invece furono colpiti dalla cloroacne, una malattia della pelle provocata dal contatto con le diossine. e tutti se ne stupirono.
non morì nessuno, e non è vero: il direttore di produzione paolo paoletti.

il 5 febbraio 1980, alle 8,30, paoletti, appena uscito di casa, fu assassinato in via de leyva a monza dai terroristi di prima linea.
un uomo e una donna gli spararono diversi colpi di pistola, poi fuggirono su una fiat 128 dove li attendeva un complice, gettando un candelotto fumogeno sul selciato per creare confusione.

si disse che l'omicidio era per "vendicare" lo scoppio del '76, ma si disse anche che prima linea agiva per conto di altri: agiva per conto di chi voleva togliere di mezzo l'unico testimone delle vere produzioni dell'icmesa.
produzioni militari e segrete, dice daniele biacchessi, giornalista a radio24, attore-scrittore bravissimo e autore del libro la fabbrica dei profumi. la verità su seveso, l'icmesa, la diossina, pubblicato da baldini & castoldi nel 1995.

cose tecniche
conoscendo le quantità che erano state immesse e la temperatura a cui era arrivata la reazione, si stima che al momento dell'incidente nel reattore ci fossero circa 2 tonnellate di triclorofenato di sodio, l'intermedio, insieme al tetraclorobenzene, per arrivare al triclorofenolo, altre 2 tonnellate di prodotti organici e 540 chili di cloruro di sodio, cioè il normale sale da cucina.
dopo l'incidente, nel reattore furono trovate 1,5 tonnellate di sale e mezza tonnellata di composti vari; altre 3 tonnellate si erano disperse in aria dallo sfiato.

i sospetti, le malizie, i dubbi, le cattiverie
"la tcdd, o diossina di seveso, ha proprietà teratogene e cancerogene, non poteva servire per ciò che la givaudan diceva di produrre, disinfettanti ospedalieri e cosmetici. il prodotto impuro – afferma daniele biacchessi nel libro la fabbrica dei profumi – era assemblato all'icmesa ma venduto in svizzera, poi girato a vernier e negli stati uniti dove, con molte probabilità, veniva miscelato con altri composti chimici fino a farlo divenire il micidiale agent orange. il prodotto aveva un nome: weedonet".
la fabbrica dei profumi, così biacchessi definisce lo stabilimento: "così la chiamavano gli abitanti di seveso: faceva prodotti aromatizzati, profumi, almeno ufficialmente".
e qui c'è l'allusione all'ipotesi che in realtà l'icmesa lavorasse anche (ma non solo) per le forniture di guerra chimica agli stati uniti.
il dipartimento della difesa usava l'agent orange come defoliante da spargere in alte concentrazioni con elicotteri e aerei sulla foresta vietnamita per stanare il nemico. l'agent orange è una miscela di acido diclorofenossiacetico e acido triclorofenossiacetico, con una percentuale di diossina che varia secondo il processo di sintesi adottato.
i processi di sintesi erano infatti diversi secondo il fabbricante. e i fabbricanti erano diversi.
dai primi anni '60 il pentagono aveva imposto la produzione di questo misterioso agent orange a molte società chimiche statunitensi, fissando con rigidità la formula; i fusti e gli altri contenitori per imballare il prodotto dovevano essere senza alcuna etichetta, tranne una banda arancione larga tre pollici (da cui il nome di agent orange) e senza alcuna identificazione sul contenuto.
solamente un produttore chimico rigettò esplicitamente l'imposizione del pentagono, la hercules, aprendo un contenzioso al tribunale.

il rischio industriale
altre accuse contro la givaudan:

l'azienda sapeva che si sarebbe sviluppata diossina con l'aumento della temperatura.

l'azienda sapeva che aumentando la temperatura sarebbe diminuito il tempo di reazione (da 5 ore a 1 ora) e quindi si aveva più produzione in meno tempo.

sapeva che impianti simili erano già esplosi con produzione di diossina e conseguenze gravissime in altri paesi.

l'azienda sapeva quale miscela di composti si forma in un reattore per la produzione di triclorofenolo e sapeva che quel reattore aveva come sfiato solamente un camino che dava sul tetto, all'aria aperta, senza alcun sistema di abbattimento.

l'azienda sapeva che i termometri erano insufficienti per controllare la reazione.

fino ad allora non c'erano piani di sicurezza con le autorità locali, non erano state condotte analisi di rischio dei singoli processi produttivi; a seveso i controlli e le conduzioni si svolgevano con strumenti manuali e l'allarme non era legato anche agli andamenti della temperatura; gli operai dell'icmesa non conoscevano i rischi possibili né i mezzi di prevenzione.
l'esperienza di seveso ha insegnato qualcosa. ha creato le condizioni perché la comunità europea affrontasse il problema degli insediamenti industriali e della loro pericolosità, processo che ha dato origine nel 1982 alla direttiva seveso sulla prevenzione degli incidenti negli impianti industriali, recepita in italia nel 1988.

seveso rappresenta un avvenimento simbolico di grande importanza nella legislazione ambientale.

la diossina di tutti i giorni
la diossina si produce spontaneamente, in natura, in tutti i processi di combustione.
basta avere carboni
o e cloro, elementi contenuti nella benzina, nella legna, nelle bucce di patate, nella carbonella, nel gasolio, nella plastica pvc (una delle plastiche più diffuse e la più contestata), nelle bistecche con un pizzico di sale, nel tetraclorobenzene usato dall'icmesa nel '76.

e basta avere la temperatura giusta, circa 150 gradi: una stufa, un barbecue, il forno a legna della pizzeria, un inceneritore, un cilindro del motore, un reattore pieno di tetraclorobenzene.
certamente la reazione incontrollata di seveso, con il tetraclorobenzene in un reattore studiato apposta per far reagire cloro e carbonio, sviluppa concentrazioni forti di diossina. infinitamente più alte dello sfrigolare della braciola sulla griglia. ma anche la braciola sul letto di carbonella rovente sviluppa la sua piccola dose di diossina.
sviluppano diossina (in quantità ovviamente micròniche) la produzione di alcuni insetticidi, diserbanti e solventi, il processo di "sbianca" della carta con prodotti al cloro (soprattutto la candeggina), l'incenerimento di rifiuti (urbani, industriali o ospedalieri), la produzione del cemento, il riciclaggio e la fusione dei metalli, le eruzioni vulcaniche, gli incendi delle foreste, l'industria dell'asfalto, la combustione di prodotti petroliferi e di carbone, le stufe e i forni a legna, le caldaie di riscaldamento, i forni crematori, il traffico sulla strada, la produzione di disinfettanti e di conservanti.

per saperne di più
sono bravissimi alla fondazione lombardia per l'ambiente, il centro ricerche fondato dalla regione con il risarcimento pagato dalla givaudan.
tra i massimi esperti, l'associazione ambiente e lavoro.

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