storie di emigrazione. di persone che chiudono la valigia, guardano intorno alla stanza vuota e in penombra, e se ne vanno via mentre il panorama scorre.
alcuni della patria vecchia cancelleranno anche la lingua. altri invece conserveranno il dialetto e le tradizioni, come fanno i veneti in brasile che da cent’anni parlano un veneto sempre più imbastardito e arcaico.
parlo di due libri di emigrazione. elena nemeş, poetessa romena, e gianni favarato, giornalista mestrino. ma la storia di chi parte, addio vado, dovrebbe essere raccontata anche da roberto bonzio con i suoi italiani di frontiera.
comincio con elena nemeş.
elena nemeş
pensieri sparsi
brignoli edizioni
romena di ploieşti, informatica in quella che era un’azienda statale, nel ’91 partì con il marito commercialista e figlio piccolo verso l’italia.
oggi nemeş racconta in trenta poesie italiane i suoi pensieri sparsi rivolgendosi ai connazionali lontani. le trenta poesie sono tradotte
a fronte in romeno.
forse, “tradotte” è una parola scorretta. lo scrittore alexandru toma se le è fatte raccontare, e le ha riscritte in romeno secondo la sua sensibilità. quindi, sessanta poesie, trenta in italiano di elena nemeş
e trenta variazioni sul tema di alexandru toma.
parlano dei sacrifici di una madre che dedica le risorse e sentimenti al figlio, racconta le pazzie di un mondo nuovo, l’italia, che offre insieme grandi slanci e grettezze oscene.
la vita
dolce o amara
è un dono
lunga o breve
è un dono
serena o complicata
è un dono…
poi c’è la vita facile
quella difficile…
dobbiamo lottare e resistere
resistere e lottare
fino all’ultimo respiro…
se ci fosse un divino creatore
vorrei che punisse
i cattivi e gli ingiusti
lasciasse vivere bambini
e innocenti.
aiutasse i deboli.
se ci sei, fai il tuo dovere,
aiutali!
non spezzare loro le ali
prima di volare…
i pensieri in cui elena nemeş confida il suo passato, i sentimenti e l’esperienza di vita sono espressi “non in modo simbolico, metaforico o con altri sottintesi, ma in pensieri sparsi, così come vengono. questo, perché neanche nella vita gli eventi si svolgono secondo un
modello o un tempo specifici”.
da informatica, ha un account seguitissimo su facebook e un blog che parla di tematiche di immigrazione e integrazione culturale.
la comunità romena è la più numerosa in italia, circa 900mila persone secondo l’istat. tanti stranieri scelgono l’italia per trovare un futuro migliore in termini di condizioni di vita e lavoro. alle spalle storie difficili, a volte terribili. esperienze diverse che – portate in italia – significano ricchezza culturale per il nostro paese.
crescono anche gli stranieri che scelgono l'italiano come nuova lingua per le loro opere. quache nome: pap khouma, amara lakhous, mircea butcovan, igiaba scego.
sono circa mille i nuovi italiani, ovvero i poeti e scrittori immigrati in italia.
in senso contrario, partendo.
gianni favarato
addio italia
mazzanti libri
“addio italia” è un romanzo corale ambientato alla fine dell’ottocento in un paese immaginario della bassa veneta.
il paese si chiama porto casale, località inesistente, e assomiglia a san donà zelarino sambuson piove martellago cavarzere alvisopoli.
assomiglia, con il parroco retrogrado in tonaca e cappello q
uadrato, il socialista pessimista, il palazzetto del feudatario veneziano (oggi villa veneta), con il sindaco ambizioso, il sensale, l’osteria, il maestro di scuola, i possidenti, con la parrocchiale, il canale limaccioso tra i frutteti, con il brigadiere dei reali carabinieri, l’anarchico, e con la folla senza nome di contadini contadine e scarriolanti che mangiavano solamente polenta fino a farsi venire la pellagra che brucia la pelle delle mani e del collo e che rintrona il cervello.
c’era fermento, nelle osterie dove si beveva vino orrendo e in piazza.
c’erano i sensali brasiliani delle compagnie d'emigrazione, in cerca di contadini scontenti e disposti a cercare una vita migliore nel sudamerica, el brasil.
gli agenti di immigrazione usavano lanterne magiche (proiettori artigianali) che strabiliavano le contadine con il fazzolettone e gli scarriolanti con il berretto di traverso.
proiettavano immagini di terre favolose e vergini, che aspettavano soltanto chi volesse lavorarle.
ma non era la fantasia a spingere verso la partenza: era la fame.
fame boia che si metteva un’aringa appesa sul tavolo e ogni componente della famiglia strisciava sul pesce affumicato la sua fetta di polenta abbrustolita per conferire un aroma.
i possidenti non volevano che i braccianti a basso costo partissero. il prete si scagliava contro l’emigrazione indemoniata, il frate benedettino benediceva chi partiva.
raccontavo su questo blog due anni fa, nel marzo 2011, il motivo da cui nasceva la fuga dall’italia di fine ottocento.
benedetto cairoli, primo ministro, stava preparando la colonizzazione della tunisia e, attraverso la compagnia genovese rubattino, acquistò la ferrovia tunisi-goletta.
il bey di tunisi aveva contatti frequenti con il re d’italia e umberto di savoia, durante una visita a palermo, ricevette il fratello del bey e il primo ministro mustafà ben-ismail.
il governo italiano, i ministri italiani inetti, non capivano che stavano perdendo la partita: i francesi tramavano.
l'11 maggio 1881 a sorpresa i francesi occuparono la tunisia adducendo come scusa gli sconfinamenti di tribù tunisine in algeria.
seguì una guerra commerciale tra italia e francia, con la rottura degli accordi commerciali.
la francia a colpi di dazi chiuse le frontiere al vino e al grano del mezzogiorno italiano e al 40% delle esportazioni italiane.
la crisi agricola nel sud costrinse milioni di italiani all’emigrazione.
e partivano, donne con il fazzolettone in testa, anarchici scontenti, socialisti in cerca del sol dell’avvenire, scarriolanti con i baffoni, contadini senza terra.
partivano sulle panche di terza classe dove si respirava il fumo della locomotiva, e poi nelle stive di terza classe per settimane di navigazione puzzolente.
a volte il sogno finiva prima, su uno scoglio: come era accaduto al sirio, piroscafo con 120 passeggeri di prima e seconda classe (tra questi, il vescovo di san paolo del brasile) e 1.200 emigranti divisi fra la stiva e il ponte di prua.
nel pomeriggio del 4 di agosto 1906, male liscio e sole favillante, il sirio – pur avvertito da altre navi – fece rotta verso le note secche delle formiche, vicino a capo palos, costa mediterranea della spagna, e c’infilò la prua dentro.
gli emigranti sul ponte di prua furono sbalzati in acqua e annegarono.
poi la nave reclinò leggermente e affondò per metà, incagliata nella secca, e rimase piantata con la poppa sugli scogli per due settimane prima di spaccarsi e affondare.
fra le onde del mar si sparirono a centinaia, come la famiglia serafini, che erano vicentini di arzignano, con amalia (incinta), 41, e i figli umberto, ottavia, lucia, giuseppe, silvio, silvia (si salvarono il marito felice, 43, e i figli ottavio e isidoro), e compreso il vescovo dando a tutti la sua benedision.