entra nel vivo il percorso per dare all’italia un deposito dove riunire in modo sicuro i residui nucleari meno pericolosi ma più abbondanti che oggi sono sparsi in almeno 24 depositi provvisori.
oggi 2 gennaio, in anticipo di un giorno sulla data di legge del 3 gennaio, la sogin – la società pubblica del nucleare – ha consegnato ai ministeri dell’ambiente e dello sviluppo economico e all’autorità di controllo nucleare – l’ispra, istituto superiore di protezione e ricerca ambientale – la carta dei luoghi potenzialmente idonei a ospitare in futuro l’impianto in cui far dormire, stivati, corazzati e controllati, i 25.200 metri cubi di rifiuti a bassa e media radioattività oggi dispersi in stoccaggi per tutta italia.
il programma del deposito è previsto dal decreto legislativo 31 del 2010 (modificato dal decreto legislativo 45 del 2014), il quale ha affidato alla sogin il compito di localizzare, realizzare e gestire il deposito nazionale con centro ricerche, e fa pensare a una delle opere infrastrutturali più importanti per l’italia. la stima dei costi si aggira su 1,5 miliardi, anche se l’esperienza internazionale dice che impianti con ottime caratteristiche tecniche possono costare assai meno, anche un terzo.
ogni paese europeo deve avere un deposito nazionale per i rifiuti meno pericolosi, quelli che perdono il rischio radioattivo in alcuni decenni o nel tempo di poche generazioni.
diverso il discorso per i 7.200 metri cubi di rifiuti più pericolosi, che diventeranno circa 8mila metri cubi fra una quarantina d’anni, e la cui pericolosità assai più alta si misura sulla scala dei secoli o dei millenni: in questo caso si potrà forse puntare su un deposito consortile condiviso fra più paesi europei.
il deposito per i rifiuti nucleari meno pericolosi, un bunker di altissima sicurezza affiancato da un centro studi e ricerche, servirà a ospitare non solamente i 25.200 metri cubi di scorie ora disseminate in stoccaggi minori, non progettati per durare decenni e collocati spesso in luoghi inappropriati, ma anche una pari quantità di nuovi rifiuti radioattivi che l’italia dovrà gestire nei prossimi 40 anni. fra i rifiuti di oggi e le scorie future, a breve l’italia dovrà gestire più di 50mila metri cubi di materiali.
oggi la “spazzatura” nucleare sta in più di 20 località. alcuni stoccaggi sono di altissima sicurezza, come nel caso dei fusti che il jrc dell’unione europea ha nelle brughiere tra varese e il lago maggiore, nella cittadina il cui nome, ispra, non ha nulla da condividere con l’istituto ispra citato sopra.
a ispra, dove poi l’europa ha realizzato il centro ricerche sull’ambiente che richiama scienziati da tutto il mondo, c’è un vecchio grande reattore atomico sperimentale costruito quando le scoperte di enrico fermi erano ancora rivoluzionarie, ma sotto la grande cupola la pila atomica ormai è spenta. tuttavia l’esperienza di scienziati e tecnici e la sicurezza del luogo ben attrezzato hanno fatto sì che poco lontano dal reattore in disuso sorgesse un piccolo ed efficiente deposito, grande come un normale capannone industriale ma tecnologicamente ben diverso, nel quale vengono gestiti e conservati i fusti di materiale radioattivo.
ma se ispra è uno stoccaggio nucleare di concezione appropriata, vi sono in italia altri depositi in condizioni ben diverse.
accade a taranto, a fianco dell’acciaieria ilva: alle porte della cittadina siderurgica di statte c’è lo stoccaggio cemerad, controllato per motivi di sicurezza ma abbandonato a sé stesso, in disuso, nel cui capannone anonimo e scrostato le scaffalature d’acciaio sorreggono filari di 3mila bidoni coperti di polvere e pieni di scorie radioattive.
progettati in modo sicuro sono i depositi nel polo piemontese dell’atomo, tra alessandria e vercelli: la campoverde di alessandria, la fabbricazioni nucleari di marengo, il reattore avogadro, l’eurex di saluggia, la sorin di saluggia, la centrale atomica di trino. mantenuti con cura e attenzione, questi impianti però sono piccoli per i bisogni dell’italia, alcuni cominciano a mostrare le smagliature dell’età, ma soprattutto alcuni di essi sono in zone alluvionali e a ogni piena di po si teme che l’onda rabbiosa del fiume spazzi e porti con sé il contenuto nucleare. non a caso attorno a uno di questi impianti, l’eurex, è stato necessario costruire una muraglia antialluvione alta (e profondissima nel sottosuolo).
inoltre ci sono a spasso per l’italia altri microdepositi atomici, per esempio nei sotterranei di ospedali o nei capannoni siderurgici.
la mappa attuale parla di impianti vecchi, non pensati per ospitare scorie per un tempo lungo. ma soprattutto sono impianti piccoli, perché abbiamo chiuso le centrali atomiche ma continuiamo a produrre rifiuti radioattivi. le radiografie che si fanno alle fusioni d’acciaio per scoprire le cricche nascoste nel metallo non hanno i raggi x con cui si controlla un ginocchio: si usano raggi ben diversi. gli ospedali sono grandi produttori di scorie, come quelle che risultano dopo l’uso di macchinari diagnostici o per le terapie contro il cancro. ma ci sono composti altamente radioattivi nei luoghi più impensati, come nelle punte dei parafulmini o nei vecchi rilevatori antifumo all’americio.
l’impianto potrà costare 650 milioni di euro per lo studio, il progetto e la costruzione, altri 700 milioni per le infrastrutture interne ed esterne e 150 milioni per realizzare il parco tecnologico. si stima che (oltre a 1.500 addetti alla costruzione per quattro anni) nell’impianto lavoreranno circa 700 persone.
il percorso per arrivare al deposito nazionale prende le mosse dai criteri varati in estate dall’ispra (l’istituto di protezione dell’ambiente, non la cittadina scientifica varesina). sono i criteri in base ai quali la sogin in questi giorni sta completando la mappatura dei luoghi potenzialmente idonei a ospitare il deposito. sono criteri soprattutto di esclusione, come il rischio sismico, la densità di popolazione, il pericolo di allagamenti e così via. questa carta d’italia si chiamerà cnapi, carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, dove va sottolineata la “p” di “potenzialmente”. la mappatura cnapi non conterrà uno o più punti precisi, non leggerà i confini amministrativi dei comuni e delle province, ma come il manto di un leopardo indicherà – in un a penisola tormentata dal rischio sismico, dal pericolo di allagamenti, dalla pressione urbana – quelle poche aree che contengono tutte le caratteristiche di sicurezza indicate dall’ispra.
la legge stabilisce che in aprile i due ministeri e l’ispra, verificata la correttezza dei posti potenziali, validino la mappa e la rendano pubblica per la consultazione dei cittadini.
in primavera saranno condotte le consultazioni e all’inizio dell’estate le osservazioni degli italiani alla mappa saranno riunite, sistematizzate e presentate a un seminario nazionale.
nuovo passaggio, in autunno: la carta cnapi (con la “p” di “potenzialmente”) sarà aggiornata sulla base di nuove indicazioni e dei suggerimenti dei cittadini e, dopo settembre, cambierà nome in cnai, carta nazionale delle aree idonee, perdendo la “p”. la carta cnai per esempio considererà per esempio le manifestazioni vulcaniche secondarie, i regimi di pioggia e neve e così via.
e qui partirà il negoziato con i sindaci che vorranno farsi avanti per ospitare l’impianto.
non è improbabile che si faranno avanti piccoli paesini remoti compresi dentro la carta cnai, dove l’arrivo di un’istallazione tecnologia densa di scienziati e tecnici porta una rivalutazione cospicua degli immobili com’era avvenuto nei decenni scorsi con il jrc europeo di ispra, dove la domanda di abitazioni e di servizi espressa dalla comunità scientifica internazionale ha prodotto una crescita economica vivace. eppure non fu lusinghiera l’esperienza precedente, quando nell’autunno 2003 in basilicata si tentò di imporre nel sottosuolo di scanzano jonico un deposito di scorie ad alta pericolosità: fu il primo grande fenomeno italiano di nimby.
per saperne di più consiglio:
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