(ho tratto l’immagine qui sopra dal film il casanova di federico fellini, 1976).
a fine febbraio ho visto con piacere vivissimo ed emozione alla scala l’incoronazione di poppea, opera lirica data a venezia, teatro san giovanni e paolo, nel 1642, pochi mesi prima che claudio monteverdi morisse.
anticipo subito una considerazione che tratterò fra poco in modo più esteso: ma siamo sicuri che l’incoronazione sia di claudio monteverdi?
io ho il dubbio che non sia sua.
che sia un fake.
il musicista e studioso annibale gianuario (1911-1991)
– onore postumo a gianuario: ahi troppi musicisti si limitano allo studio tecnico dello strumento! quanti pochi studiano la cultura e la storia degli autori di cui suonano le musiche, entrando in contatto intimo con essi! –
scrivevo, annibale gianuario ipotizzò che l’incoronazione fosse non di monteverdi bensì di un compositore apprezzatissimo a venezia in quegli anni, benedetto ferrari.
non so se gianuario avesse ragione sul nome di ferrari.
ma in cuor mio so che l’opera a mio sentire non è di claudio monteverdi.
l’aria pur ti miro è di benedetto ferrari
dunque, torno alla scala.
ecco il trailer della produzione della scala andata in scena in febbraio.
il trailer si basa sull’aria conclusiva – una delle arie più belle mai composte nell’opera italiana: pur ti miro pur ti godo.
e quest’aria meravigliosa non è stata pensata da monteverdi.
è l’aria finale del pastor regio di benedetto ferrari, un compositore oggi minore ma allora di grande fama. è stata appiccicata lì come aria da baule.
quella della scala, realizzata insieme con l’opéra national di parigi, è una produzione elegantissima, bellissima, dentro all’opera e dentro alla cultura scomparsa e remota di cui l’incoronazione era espressione.
direttore strepitoso rinaldo alessandrini, orchestra della scala (in ristrettissima versione barocca).
regia, scene e luci robert wilson
(collaboratore alla regia, tilman hecker; collaboratore alla scenografia annick lavallée-benny; collaboratore ai movimenti coreografici fani sarantari); costumi jacques reynaud; lighting designer a.j. weissbard; drammaturgia ellen hammer.
voci: leonardo cortellazzi, miah persson, ottavia monica bacelli, silvia frigato, sara mingardo, luca dordolo, furio zanasi, adriana di paola, giuseppe de vittorio, andrea concetti, mirko guadagnini, maria celeng, luigi de donato, monica piccinini, andrea arrivabene.
la produzione della scala è molto dentro all’incoronazione, più elegante, più secentesca rispetto a quella compiaciuta e volgarotta harnoncourriana e ponnelliana.
c’è molto più bibbiena e molto più seicento nelle scenografie sobrie e asciutte di robert winson, nei movimenti rigidi e meccanici degli attori, nella compostezza adamàntina delle pose, nei rigori dei costumi duri e spessi, nella direzione di alessandrini tesa e asciutta rispetto alle bibbienate posticce della versione ponnelliana.
in questo video, la versione harnoncourriana e ponnelliana: la scena in cui poppea viene incoronata e lo strepitoso duetto finale pur ti miro pur ti godo
non è una musica per vecchi
e mentre buona parte del pubblico della scala, in gran parte adagiato nelle aide e negli ernani, pareva sconcertato dalle antinomie della musica di 400 anni fa, alle prime dissonanze della sinfonia iniziale in stile francesco cavalli (non in stile claudio monteverdi) e del prologo delle divinità io avevo avuto una traslazione violenta alla primavera del 1642 ed ero caduto in pieno dentro il teatro di san giovanni e paolo.
quant’ero piccolo, le finestre della cucina s’affacciavano sul rio dei mendicanti (il soggiorno invece sul rio di santa marina) e vedevo il campo, la statua di bartolomeo colleoni a cavallo, il fianco del chiesone gotico alle spalle del quale ci sono pochi lacerti di quello che quattrocent’anni fa era il teatro in cui si diede l’incoronazione.
però, a parte numerosi accenni all’ottavo libro dei madrigali, citazioni sparse, assonanze con il combattimento, ennò, l’incoronazione non mi pare il monteverdi che conosco.
non è quello dell’ulisse o dell’orfeo.
quella musica non mi dice io sono claudio monteverdi.
due diversi testi dell’incoronazione
a differenza dell’ulisse (teatro di san cassiano, 1641) ricco di documenti correlati, dell’incoronazione ci sono solamente due manoscritti di copisti di fine seicento, cioè tracciati quando monteverdi era morto da decenni.
uno è alla marciana, proveniente dal fondo della famiglia contarini. sul manoscritto è stato aggiunto nell’ottocento il nome di monteverdi.
l’altro manoscritto è stato trovato nel novecento nella biblioteca del conservatorio san pietro a majella di napoli con il titolo il nerone ovvero la incoronazione di poppea.
sono molto simili, ma con differenze cospicue.
strano, non ci sono fonti coeve
oltre al fondo contarini che contiene anche il manoscritto dell’incoronazione (oltre a 120 fra libretti e programmi di sala di quell’epoca), nell’archivio di stato di venezia ci sono le lettere dei compositori agli impresari, e degli impresari ai cantanti, e dei poeti e così via.
e poi i libretti pubblicati e gli scenari che le maschere distribuivano al pubblico in sala (come oggi con le locandine e i programmi di sala).
e poi all’archivio di stato di firenze ci sono le lettere di mattia medici che scriveva a venezia per riallestire a firenze le opere che andavano in scena nei teatri veneziani.
e poi quasi tutte le opere erano accompagnate non solo dalle lettere e dai contratti di fornitura e d’ingaggio, ma anche da poesie dedicatorie e sonetti d’accompagnamento, prefazioni delle edizioni a stampa e così via. una messe di documenti interrelati.
sull’incoronazione di poppea, zero.
un manoscritto veneziano (con la musica appena tracciata per accenni di linee melodiche) e una variante napoletana. da nessuna parte alcun cenno né a monteverdi né a un altro autore.
strano: monteverdi andava di moda, quand’era vivo. era l’eltonjohn della situazione.
aveva inventato l’aria del lamento, e giù in qualunque opera ogni autore metteva un lamento in stil monteverdiano.
aveva diviso il lamento in più sezioni con più temi musicali alternati, e giù tutti a dividere il lamento in più sezioni musicali.
aveva inventato il modo concitato, in cui la musica s’affretta su un testo incalzante: e giù in ogni opera qualunque autore ficcava un concitato alla monteverdi.
egli veniva chiamato per riempire i teatri.
e ogni cosa che scrivesse era accompagnata da un ricco apparato di documenti, onori, dediche e così via, di cui gran parte si sono conservati.
per l’incoronazione, nulla. nessun documento tranne i due manoscritti.
ecco un esempio di lamento: claudio monteverdi, il lamento della ninfa. madrigale con testo in forma di karaoke
ivanovich sbagliò ancora una volta e scrisse che l’incoronazione era di monteverdi
l’attribuzione del manoscritto veneziano a monteverdi è molto successiva alla morte del compositore, ed è contemporanea alla scrittura delle due copie dell’opera, cioè della fine del seicento quando il musicista veneto-dalmata cristoforo ivanovich – sbarcato nella dominante nel 1650 con monteverdi morto da 7 anni – nel 1681 pubblicò la minerva al tavolino, in cui ci sono le memorie teatrali di venezia in cui d’anno in anno si fa menzione di tutti i teatri, drami, autori di poesia e compositori di musica.
ivanovich nel repertorio per gli anni d’esordio dell’opera lirica combina mille pasticci.
per i drammi in musica dati a teatro fra il 1637 e il 1649 (quand’era ancora lontano dalla dominante) egli assegna in molti casi le opere ad autori sbagliati di musiche e libretti. e ivanovich sbaglia anche quando i nomi erano scritti in grande sui libretti e sui programmi di sala.
ivanovich ha tolto al compositore francesco manelli un po’ di meriti: assegna a benedetto ferrari l’andromeda e la maga fulminata, oppure a francesco sacrati la delia, o a francesco cavalli l’adone, che sono tutte opere scritte dal manelli. bastava che inanovich guardasse i documenti. per esempio nell’edizione a stampa dell’adone (assegnata da costui a cavalli) c’è proprio la prefazione di francesco manelli.
e così sono state sfilate perfino al grande monteverdi opere scritte da lui. ivanovich assegna a francesco sacrati l’arianna (in realtà una rielaborazione dell’opera di monteverdi) e a cavalli le nozze di enea con lavinia (bastava leggere il programma di sala su cui è scritto “musica di monteverdi”).
ivanovich sbagliò e tutti copiarono il suo errore
così tutti gli storici della musica copiarono ivanovich e con esso i suoi errori, fino a oggi.
dopo ivanovich, gli intenditori dall’orecchio finissimo e dalla voce tonante hanno lodato in tutti i modi l’arte sublime di monteverdi nell’incoronazione, le scelte stilistiche coraggiose e anticonvenzionali.
eppòi, nell’incoronazione c’è un lamento. “firma inconfondibile di monteverdi”.
(ma tutte le opere del tempo piazzavano un lamento à-la-monteverdì).
c’è pure il concitato, “firma inconfondibile di monteverdi”.
(ehi, ma in tutte le opere di tutti gli autori del tempo c’era un passo con il concitato in stile monteverdi!).
e poi il tocco geniale della fine dell’opera, con il duetto pur ti miro che va a spegnersi lentamente, a scenario aperto. “ah, il genio di monteverdi”.
(ma no!, è un’aria di benedetto ferrari appiccicata in coda all’incoronazione!).
in realtà l’autore dell’incoronazione potrebbe essere benedetto ferrari
annibale gianuario ipotizzava che tutta l’incoronazione, e non solamente il meraviglioso duetto finale, sia di ferrari.
ferrari era grande amico dell’autore del testo dell’incoronazione di poppea, busenello, con cui ha lavorato per diverse opere.
è lui, ferrari, insieme con manelli, l’inventore dell’opera lirica.
lui, quando a venezia nel 1637 aprì il teatro san cassiano, creò il primo teatro moderno.
con i biglietti a pagamento (e non più allestimenti provvisori per eventi e a inviti).
con l’impresario e la produzione.
i canatanti scritturati.
con le opere fatte per il divertimento del pubblico, e non per l’onore del committente.
non so se l’incoronazione di poppea è di benedetto ferrari, come immagina gianuario.
e non so se è o non è di monteverdi.
così a fiuto, a gusto, a me pare tanto uno stile compositivo proto-francesco-cavalli, un ur-cavalli, ma non più il monteverdi statico dell’ulisse.
è già un’evoluzione verso qualcosa di diverso, di nuovo, che nell’ulisse non c’è ancora.
l’ulisse per i miei criteri non è ancora un’opera lirica come la riconosco io. l’ulisse è quasi la messinscena musicata di un testo scritto.
l’incoronazione invece è un’opera vera, anche se ancora sperimentale. forse un monteverdi che sta evolvendo verso qualcosa che non aveva mai fatto prima, forse.
ma nei fatti ogni nota, ogni tema musicale, ogni modulazione dell’incoronazione a me parlano un linguaggio diverso da quello del grande claudio monteverdi.
mi dicono: no, no, no, la mia voce che senti non è di monteverdi.