(ripubblico con un copincolla questo articolo di un anno fa, e di due anni fa, e di tre anni fa, e di quattro anni fa.
questo articolo non finisce mai, non deve finire mai.
oggi è il 27 gennaio, giorno della memoria).
non mi piacciono le parole scioà oppure olocausto. non mi piacciono le rievocazioni a date fisse. la lagrima a comando: "ora, piangere!"
per questo motivo non mi piace scrivere oggi 27 gennaio, quando le rievocazioni del dolore su richiesta sono nel pieno.
il giorno degli stermìni non è solamente il 27 gennaio. tutti i giorni, è il giorno per ricordare l'orrore della strage.
come lo è il 13 luglio.
oggi non è il 27 gennaio: oggi è il 13 luglio.
1942, settantaquattro anni fa.
siamo in polonia, in masovia, alle porte di jòzefòw. sulla riva che pende verso la vìstola, la wisła.
un convoglio di autocarri si ferma poco lontano dal paese, ne scendono 500 uomini: soldati tedeschi, battaglione 101, polizia ordinaria dello stato. messi in semicerchio intorno al loro comandante, ascoltano il suo discorso.
il maggiore trapp – l’unico di cui si è salvato il nome – comunica loro la missione di oggi.
"è molto difficile", esordisce il maggiore trapp. "è un compito duro". il paese che devono circondare è pieno di ebrei, 1.800 circa.
è una delle comunità ebraiche, dei villaggi, gli scètl (shetl). c'erano villaggi con il 50, il 70, il 90% di ebrei.
tra loro, ci sono circa 300 maschi in grado di lavorare. devono essere rastrellati e portati a un campo di lavoro sotto scorta armata.
tutti gli altri, bisogna ammazzarli. donnebambinivecchineonati, tutti.
non è tranquillo, il maggiore trapp. ha la voce rotta, sembra che faccia fatica a trovare le parole. gli occhi sono lucidi, ed è una cosa che colpisce molti soldati.
"eppure bisogna farlo, bisogna eseguire gli ordini", prosegue trapp. può aiutare i soldati, sapere che "questa guerra l’hanno voluta gli ebrei"? che ogni notte i bombardieri inglesi attaccano le città tedesche? però – dice il maggiore – se qualcuno non se la sente di eseguire l’ordine, lui lo assegnerà ad altri incarichi.
un uomo, un solo uomo, si fa avanti per consegnare il fucile.
il comandante della sua compagnia comincia a urlargli addosso, ma il maggiore zittisce l'ufficiale e ripete l’invito.
allora altri uomini si fanno avanti, una dozzina in tutto. non di più. verrà dato loro il compito di scortare gli ebrei maschi, assieme con un sottotenente che la sera prima aveva già annunciato che non avrebbe eseguito l’ordine.
tutti gli altri, si muovono verso il paese.
una compagnia circonda il villaggio – con l’ordine di sparare a vista su chi cerca di scappare.
uno scorcio dei boschi alla periferia di jòzefòw.
le altre due compagnie entrano dentro e cominciano a sfondare le porte: gli uomini sono separati dalle donne, le donne assieme ai vecchi e ai bambini sono radunati nella piazza centrale del paese. si cominciano a sentire i primi spari. in molte case ci sono vecchi incapaci di muoversi come vorrebbero i tedeschi, gli ordini sono di ammazzarli sul posto. si dovrebbe sparare anche ai neonati, ma i soldati non ci riescono – ancora.
un poliziotto ha scritto:
anche sotto minaccia di morte le madri non si separavano dai bambini. così tollerammo che portassero i loro piccoli nella piazza del mercato.
un poliziotto ha scritto:
per tutta la mattinata [durante il rastrellamento] mi accorsi che molte donne portavano dei neonati in braccio e tenevano per mano bambini piccoli
un sergente ne sgriderà alcuni, proprio perché poco energici.
in breve tempo i tedeschi riescono a districare le famiglie. immagino come, immagino i pensieri degli ebrei. nessuno sa che cosa stia succedendo realmente. gli ebrei pensano di dover obbedire per evitare scoppi di violenza da parte tedesca. non pensano, gli uomini, che le loro mogli e figli saranno tutti morti prima di domani. e così si fanno portar via, tra urla e pianti e promesse di rivedersi presto.
adesso può cominciare l’eccidio.
il primo gruppetto di ebree e loro figli viene scortato a un boschetto. là vengono fatte sdraiare e i soldati sparano loro addosso, a bruciapelo.
e cominciano i problemi. perché le vittime in buona parte sono donne, madri, bambini, neonati. è difficile sparare a un neonato; è impossibile che una madre non reagisca. molti uomini sparano alto. alcuni (pochi in verità) gettano il fucile e chiedono o pretendono di essere dispensati. altri pèrdono il controllo, imbrutaliti, sparano troppo vicino e si ritrovano l’uniforme lorda di pezzi di cervello, sangue, ossa.
il medico del battaglione aveva mostrato, tracciando un disegno per terra, il punto giusto dove mirare. al collo, usando la baionetta inastata per mirare meglio. ma è un disegno che molti non vedono – bisogna capire gli uomini: è un compito difficile.
quando sentono la prima salva, gli ebrei ammassati in piazza esplodono in un urlo spontaneo, collettivo. ma poi sembrano accettare la morte, nessuno piange a parte i neonati – e quelli piangerebbero comunque. i tedeschi resteranno molto innervositi da ciò.
per tutto il giorno il massacro prosegue. nel primo pomeriggio ci si rende conto che a questo ritmo ci saranno ebrei ancora vivi in nottata. le compagnie accelerano i ritmi, per quanto è possibile. nel bosco comincia a essere difficile trovare terreno libero in cui far adagiare le vittime.
comincia anche a circolare la vodka. ecco, questo aiuta di più. i soldati comunque, almeno quelli che sparano ancora (altri hanno ceduto), sono molto arrabbiati con il loro comandante che per tutta la giornata non si è fatto vedere.
il maggiore trapp passerà tutta la giornata chiuso in una locanda, piangendo a dirotto. questo non lo salverà dalla corte polacca che nel 1947 lo condannerà a morte per questo ed altri crimini di guerra.
è ormai notte quando il battaglione finisce il lavoro. il villaggio è del tutto deserto. in compenso il bosco è pieno di cadaveri, che nei giorni successivi i contadini polacchi raccoglieranno e seppelliranno. converrà loro; potranno saccheggiare liberamente le case dei morti.
il battaglione 101 torna in caserma. si mangia poco, in compenso si beve molto. ma per quello che hanno fatto non basterebbe tutto l'alcol del mondo. durante la notte un soldato si sveglia da un incubo scaricando il mauser sul soffitto della camerata.
questa è solo una giornata nella vita del battaglione 101. per il quale una giornata così si ripete decine di volte.
va moltiplicata per gli 11 battaglioni (5.550 uomini in totale) di polizia inviati da himmler in unione sovietica; per le due brigate ss (11mila uomini), per i quattro einsatzgruppen (12mila) al sèguito dei tre gruppi d’armata tedeschi nel 1941; vanno aggiunte le centinaia di pogrom sollecitati o approvati dai tedeschi in polonia ucraina e paesi baltici.
se le parole non bastano a descrivere quanto accaduto, abbiamo le immagini, abbiamo le testimonianze tedesche dell’epoca. la strage di jòzefòw non è di per sé eccezionale. ma lo è come documentazione. a rendere eccezionale lo sterminio nella cittadina sul bordo della vistola furono due fatti: 1) la figura del maggiore trapp, che con la sua debolezza così poco militare diede ai suoi soldati l’opportunità di non partecipare 2) il processo intentato dai giudici di amburgo ad alcuni ufficiali del battaglione, nei primi anni '60.
gli incartamenti del processo contengono gli interrogatori approfonditi di oltre 100 membri del battaglione, una buona parte della forza in organico. grazie a questi atti possiamo ricostruire con tanta precisione la morte dei 1.500 ebrei di jòsefòw. e chi li uccise. non abbiamo i nomi – la legge tedesca protegge la loro identità fino al 2040 – ma abbiamo tutto il resto, le azioni e il pensiero. perché lo fecero? che pensavano? chi erano questi assassini di neonati?
la risposta è anche il titolo del libro con cui cristopher browning descrive quest’orrore: "uomini comuni".
erano uomini comuni.
i soldati del battaglione 101 nella quasi totalità venivano da amburgo, una delle città meno naziste della germania. in massima parte erano riservisti e appartenevano alle classi operaie amburghesi: camerieri, portuali, facchini, marinai. occupazioni in cui era fortissima la presenza, prima del 1933, dei partiti socialista e comunista. avevano poi un’età media alta, anni. all’epoca della presa di potere nazista avevano perciò trent’anni scarsi, non erano adolescenti influenzabili. la percentuale di iscritti al partito nazista – anche tra gli ufficiali – era molto bassa. erano infine in buona parte sposati, padri di famiglia, con figli, gente tranquilla.
loro stessi, venti anni dopo, durante il processo ad amburgo, faticavano a capire. sembra quasi, a noi viaggiatori del tempo, che in quegli anni in europa esistesse un altro quadro di riferimento morale. ciò che oggi appare con forza sbagliato, orribile, osceno, all’epoca era – se non normale – necessario. un compito sgradevole ma necessario.
alcuni degli intervistati si giustificarono dicendo che non volevano sembrare vigliacchi.
altri – con un’idea più chiara di che cosa fosse veramente il coraggio – dissero che furono troppo vigliacchi per non sparare.
spicca però – in questa desolazione morale – la figura del primo soldato, quello che si fece in avanti all'appello di trapp. o del sottotenente che la sera prima, appena saputo della missione, aveva seccamente rifiutato di partecipare. o degli altri, che buttarono i fucili dopo aver visto quello che si chiedeva loro.
in quegli uomini restavano vivi – anche in mezzo ad una dittatura totalitaria che poneva la razza alla base dell’etica – altri e più solidi princìpi. il coraggio di apparire vigliacchi.
della maggioranza, la cosa migliore che può essere detta è questo: per essi la cosa più importante era fare ciò che la società si aspettava da loro. non deludere i compagni e uniformarsi alle decisioni del gruppo – qualunque esse fossero.
la vigliaccheria di non apparire vigliacchi.
la barriera che ci separa da quelle politiche e quell'universo morale è fragile. sta a noi tutti, nel nostro piccolo, difendere e coltivare i princìpi che in quegli anni furono calpestati.
la storia non si ripete mai allo stesso modo, ma si muove sempre, non per forza in avanti; nulla è scontato.
(ringrazio carlo de luca)