mare. plastica. le alternative sono davvero migliori? il caso del cotone (ecologico per finta).

(ho tratto l’immagine qui sopra dal film “morte a venezia”, di luchino visconti, 1971).

la plastica danneggia l’ambiente.
ma davvero così tanto?

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oggi il commissario europeo al bilancio günther öttinger ha annunciato che la commissione di bruxelles “sta prendendo in considerazione una tassa sulla plastica come nuova risorsa per il bilancio ue e come leva per ridurre la massa di rifiuti”. l’idea non sarà concretata in breve e comunque non farà del pacchetto plastica della prossima settimana.
dal 1° gennaio la cina ha chiuso il mercato e “non prende più plastica da riciclare e invece la ue continua a utilizzarne e produrne troppa”. di qui la necessità di “disincentivarne l’uso”.
öttinger non ha fornito indicazioni sulla tassa che ha in mente, tassa che dovrebbe costituire una nuova risorsa della ue per colmare il buco di 12-14 miliardi l’anno che si aprirà nel bilancio europeo dopo la brexit.

ma la plastica ha davvero un impatto così terrificante sull’ambiente?
bisogna studiare l’analisi del ciclo di vita, ovvero lca (life cycle analysis).
la plastica è inerte, impermeabile, infrangibile e leggera: significa che quando viene gettata come rifiuti galleggia in acqua e impiega tempi lunghi per distruggersi.

al tempo stesso, le alternative (il vetro, l’acciaio) spesso possono essere peggio.
molti materiali che la plastica ha sostituito sono più pesanti, più costosi per i poveri del terzo mondo, più fragili, con impatti ambientali peggiori anche se meno appariscenti.

un’analisi recente dell’environment agency inglese (clicca qui per leggere) ipotizza addirittura che per ridurre l’inquinamento e le emissioni di anidride carbonica le borse migliori da utilizzare sono proprio quelle di plastica, a patto che i sacchetti di polietilene vengano usati più volte.
quali invece — secondo lo studio dell’agenzia inglese per l’ambiente — le sporte con l’impatto ambientale peggiore?
sorpresa: le peggiori sono le sportine di cotone, perché ha un forte impatto ambientale il ciclo complessivo di produzione, dalle colture di cotone bisognose di acqua e di fitofarmaci, spesso con sementi ogm.

e poi c’è la plastica biodegradabile, che sporca meno rispetto alla plastica tradizionale, ma non pretenda di sentirsi assolto chi getta nell’ambiente la plastica biodegradabile asserendo di non inquinare. la bioplastica si degrada prima dell’altra, ma ciò che inquina sono i comportamenti, non le cose.

ripeto.
ciò che inquina sono i comportamenti, non le cose.

secondo jacqueline mcglade, a capo dei ricercatori dell’unep (l’agenzia onu per l’ambiente) «la plastica biodegradabile è una soluzione sbagliata per il problema della plastica negli oceani» (clicca qui per leggere il parere di jacqueline mcglade riportato dal quotidiano inglese the guardian).

le bioplastiche più comuni vengono “digerite” da quasi tutti gli impianti di compostaggio, anche se la digestione lenta si presta meno per gli impianti che puntano su prestazioni veloci.
anche il mare, freddo e salato, chiede molti mesi per degradare questi materiali innovativi.

dipende da tanti fattori: dai polimeri usati, dall’ambiente in cui le plastiche si trovano.
sono assai veloci alcuni polimeri, come gli alcanoati pha.
ottimi i pha (poliidrossialcanoati), i quali sono velocemente biodegradabili in molti ambienti e sono nella maggior parte dei casi totalmente di origine biologica.
le plastiche all’amico si degradano meglio alla temperatura di 50 gradi, e in pochi mesi si scompongono.

una ricerca (clicca qui per leggere la ricerca, in inglese) ha comprovato che negli impianti di compostaggio i prodotti di bioplastica all’amido perdono il 43% di peso in tre mesi, non hanno registrato degradazioni rilevanti se esposti all’acqua dell’adriatico.
altri studi hanno rilevato per altri biopolimeri una degradazione in mare del 10% in 48 giorni (clicca qui per leggere lo studio).
altre ricerche hanno rilevato risultati simili: degradazione lentissima per le plastiche convenzionali, degradazione più sensibile per le bioplastiche. interessante per esempio uno studio pubblicato dalla royal society su “macrofouling communities and the degradation of plastic bags in the sea: an in situ experiment” (clicca qui per leggere) che ha confrontato in mare una bioplastica all’amido e il comune polietilene: «after 9.5 months of exposure the biodegradable plastic showed first signs of brittleness and cracks, while no disintegration was visible in the pe samples» (dopo 9 mesi e mezzo la bioplastica cominciava a fratturarsi, il polietilene no) e «after 12.5 months of exposure the biodegradable plastic showed strong brittleness in the benthic habitat and was largely fragmented in the pelagic habitat, while no disintegration was visible in the pe samples» (dopo 12 mesi e mezzo la bioplastica era fortemente degradata mentre il campione di polietilene non mostrava alcuna disintegrazione).

chi volesse studiare altre ricerche interessanti sulla degradabilità delle bioplastiche può leggere anche gli studi come questo (clicca qui) oppure questo (clicca qui).
sul mater bi di produzione italiana c’è questo studio (clicca qui).

puoi leggere altri articoli sul tema cliccando qui e qui.

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  • arthemis |

    Penso che molti di quelli che in questi giorni si lamentano dei sacchetti ‘bio’ non sarebbero disposti a tornare al sitema della vendita sfusa degli anni ’60 ma è indubbio che si possa fare qualcosa per ridurre i rifiuti andando ad agire anche sul comportamento (il famoso nudging?). A mio parere , un primo passo potrebbe essere quelllo di rimettere il reso a bottiglie di vetro e di plastica e lattine di alluminio. Nei paesi dove è attuato non si vede in giro nessuno di questi contenitori: ammesso che qualcuno buttasse in strada una bottiglietta, ci sarebbe qualcuno pronto a recuperarla per guadagnare qualcosina..

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