erano l'8 e il 9 novembre dell'87, 23 anni fa. a quel referendum votarono 29,8 milioni di persone sui 45,8 milioni di "aventi diritto al voto" (65,1%).
dissero no al nucleare 20,9 milioni di persone, pari all'80,6%.
io avevo 26 anni e, come ora, non ero ancora entrato nell'età della ragione, ma mi ricordo che esercitai il mio diritto.
quel no ci è costato circa 45 miliardi di euro, come stima uno studio della società di analisi economiche agici finanza d'impresa.
i quesiti erano piuttosto peregrini. li copio dal sito web zona nucleare.
volete che venga abrogata la norma che consente al cipe (comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidono entro tempi stabiliti?
(la norma è stata ripristinata con la nuova legge nucleare)
volete che venga abrogato il compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone?
(la norma è stata ripristinata)
volete che venga abrogata la norma che consente all’enel (ente nazionale energia elettrica) di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all'estero?
(l'enel non è più ente di stato cui era vietato operare all'estero se non con deroghe di legge, ma oggi è una spa di diritto privato quotata in borsa e quindi può giustamente investire dove gradiscono gli azionisti).
gli italiani si erano appesi a quei tre quesiti stravaganti per dire no al nucleare: un voto politico.
subito dopo, le centrali furono spente.
furono chiuse le tre vecchie di: garigliano (sessa aurunca, caserta), trino vercellese, borgo sabotino (in comune di latina).
e quella nuova di caorso (piacenza).
fu bloccata di botto la costruzione di montalto di castro (viterbo).
di spegnere le quattro centrali atomiche, non era stato suggerito da nessuno.
l'italia avrebbe potuto fare come si fa quando si decide di lasciare il nucleare: si lasciano funzionare finché non arriva il momento di chiuderle, molti anni dopo, e poi non si riaprono più.
avrebbero continuato a produrre, soprattutto caorso. le tre vecchie, invece, progettate negli anni '50 (fecero dell'italia il paese leader mondiale del nucleare civile) erano ormai a fine vita, e per farle funzionare ancora sarebbe servita un'iniezione impegnativa di miliardi per adeguarle ai nuovi standard.
se le centrali non fossero state spente da un giorno all'altro, i corsi di laurea in ingegneria nucleare non si sarebbero vuotati di colpo.
gli istituti tecnici non avrebbero chiuso le sezioni per periti nucleari.
il costo delle centrali si sarebbe ripartito sui chilowattora prodotti.
gli impianti avrebbero prodotto chilowattora e ripagato i costi di costruzione.
invece, si decise di chiuderle di colpo, soprattutto caorso, ancora giovane e moderna.
quanto ci è costata quella scelta?
quanto è costata la scelta degli italiani nell'urna, ma soprattutto quanto è costata la scelta sciagurata (chi decise? chi?) di spegnere le centrali da un giorno all'altro?
perché qualcuno decise di spegnere di colpo quelle centrali?
il mio sospetto è che nell'87 si vollero evitare i costi impegnativi di ristrutturazione delle centrali vecchie e si usò il facile schermo del referendum per (1) evitare una spesa importante e (2) incassare subito e in via anticipata (con i sovraccosti che ne seguirono) i soldi delle future commesse così saltate.
di questo si è parlato al convegno “fare i conti col nucleare. comprendere il passato per costruire il futuro” durante il quale è stato presentato il libro “i costi del mancato sviluppo del nucleare in italia” realizzato da andrea gilardoni, stefano clerici e luca romè (di agici finanzia d'impresa) ed edito da egea, la casa editrice dell'università bocconi.
hanno partecipato al dibattito: andrea gilardoni (agici finanza d’impresa), adriano de maio (irer), giancarlo aquilanti (enel), massimo beccarello (università milano bicocca), giuseppe nucci (sogin) e stefano saglia (ministero sviluppo economico).
la tavola rotonda, prendendo spunto dai risultati dello studio e dalle considerazioni di adriano de maio, ha focalizzato l’attenzione sulle prospettive future del nucleare in italia e sulle possibili strategie da mettere in atto per un ottimale sviluppo delle politiche energetiche nel nostro paese, anche facendo tesoro delle esperienze del passato.
lo studio, realizzato nell’ambito dell’osservatorio su “i costi del non fare”, diretto da andrea gilardoni e coordinato da stefano clerici, individua e, ove possibile, quantifica gli impatti economici, ambientali e sociali determinati dalla rinuncia al nucleare.
45 miliardi di euro è il costo sino a oggi sostenuto dal paese per la rinuncia all’atomo; ciò in un’ipotesi di sviluppo della capacità produttiva nucleare coerente con il piano energetico nazionale approvato dal cipe nel 1981 (8.874 megawatt).
lo sviluppo del nucleare avrebbe permesso di evitare:
ü significativi costi di generazione elettrica (21,4 miliardi di euro), soprattutto in periodi di forte volatilità dei prezzi dei combustibili fossili;
ü 700 milioni di tonnellate di co2;
ü oltre 17 miliardi di euro per rimborsi alle società che operavano nel nucleare e per oneri di decommissioning delle attivi
tà nucleari non ancora ammortizzate;
ü 6 miliardi di euro di mancati interessi su quanto speso per l’import di combustibile.
la rinuncia al nucleare ha inoltre determinato un significativo deterioramento delle competenze scientifiche e industriali legate all’utilizzo energetico dell’atomo, sebbene vi siano alcune aziende italiane che operano con successo in ambito internazionale.
ancora oggi, così come all’indomani degli shock petroliferi degli anni ’70, si ripresenta con estrema attualità il problema della dipendenza energetica del nostro paese.
“la comunicazione è fondamentale quando si parla di nucleare. su problemi di questa natura, non è sufficiente il parere di esperti, anche quando si ottenga una larga condivisione all’interno di un nucleo ristretto di competenti in materia, è la popolazione a dover essere informata in modo esteso. la comunicazione sta alla base della accettazione o del rifiuto di interventi di questo tipo. conoscere per decidere dovrebbe essere il motto presente in casi come il nucleare”, ha detto adriano de maio, commissario straordinario irer.
“dopo cernobyl ogni paese ha fatto le sue scelte, noi ci siamo fermati, gli altri sono andati avanti. da allora la capacità produttiva nucleare è raddoppiata. l’industria nucleare ha reagito a quel dramma puntando sull’aumento della sicurezza e delle performance” ha detto giancarlo aquilanti, responsabile dell’area tecnica nucleare dell’enel.
“il tema va affrontato in maniera non ideologica, le popolazioni vanno informate in modo corretto, soprattutto le nuove generazioni, non ancora vincolate ad ideologie e preconcetti. bisogna convincere il territorio e l’opinione pubblica che ospitare una centrale nucleare è un'opportunità e non una sciagura” ha commentato stefano saglia, sottosegretario allo sviluppo economico, che ha poi aggiunto “sulla scelta dei siti saranno gli operatori a dover decidere, poi spetta a noi verificare se questo è idoneo. noi prepariamo le regole”.
è emerso anche che l'enel è pronta a richiedere la certificazione dei siti per la realizzazione delle prime centrali italiane già nella seconda metà del 2011 se l'agenzia per la sicurezza nucleare definirà in tempi brevi i parametri di localizzazione. lo ha detto giancarlo aquilanti, capo della task force nucleare di enel.
parlando delle aree che potrebbero venire scelte dal consorzio enel-edf, "i siti attuali presentano certe caratteristiche tecniche, come la prossimità al po e alla rete elettrica, anche se oggi non si può dire un sì o un no", definitivo alla candidatura ipotetica di un sito.
la definizione delle caratteristiche delle aree idonee alla localizzazione degli impianti nucleari, secondo quanto recita la legge delega del febbraio di quest'anno, prevede infatti che sia l'agenzia per la sicurezza nucleare a formulare la proposta per lo schema contenente tutti i parametri tecnici "in linea con le migliori pratiche internazionali" in grado di assicurare la sicurezza a tutela della salute e la protezione dell'ambiente. la proposta dovrà poi essere recepita con decreto del ministero dello sviluppo economico di concerto con quello dell'ambiente, delle infrastrutture e dei beni culturali.
tutto dipende, però, dalla piena operatività dell'agenzia. i nomi dei componenti del nuovo organismo sono stati indicati dal consiglio dei ministri e il senato ha già dato il via libera alla nomina di umberto veronesi alla presidenza e a quella degli altri componenti.
designati dal ministero dello sviluppo economico, cioè maurizio cumo e marco enrico ricotti, entrambi docenti di impianti nucleari.
stesso discorso per i designati del ministero dell'ambiente michele corradino e stefano dambruoso, docente di diritto amministrativo e capo di gabinetto del ministero dell'ambiente, e magistrato esperto di lotta alla mafia e al terrorismo.
ora si attende il parere analogo alla camera.
sciolto questo primo nodo ci sarà da fissare con dpcm il regolamento di organizzazione e funzionamento dell'authority e all'unanimità il nuovo consiglio direttivo dell'agenzia dovrà designare il direttore generale a cui fa capo tutta la struttura amministrativa con compiti di coordinamento e controllo.
ma a monte ci sarà da decidere la sede della neonata agenzia con decreto del presidente del consiglio dei ministri.
proprio sulla sede sono partite le prime polemiche.
per il sottosegretario allo sviluppo economico stefano saglia "è ragionevole pensare che la sede dell'agenzia del nucleare sia a roma", ha sottolineato.
ma per il senatore della lega nord in commissione industria, luciano cagnin, la posizione di saglia non è condivisibile.
cagnin non era presente al dibattito, ma viste le agenzie di stampa ha diramato un comunicato: "il sottosegretario saglia ha palesemente confermato che la sede della nuova agenzia per la sicurezza nucleare "è ragionevole" sia a roma. mi chiedo come sia possibile che tutto debba ricadere sulla capitale come un solo ed unico centro di potere politico in cui già si trovano ministeri, camera, senato e authority. non possiamo assistere inermi a queste decisioni prese a tavolino. la penisola è lunga, non è concentrata a roma. noi pretendiamo la delocalizzazione e la nuova agenzia per la sicurezza nucleare non è ragionevole, che sia a roma, con stipendi, assunzioni e altro tutto concentrato nel lazio. le parole di saia sono irricevibili".
durante il dibattito, saglia ha ribadito la necessità di dialogo per "convincere il territorio e l'opinione pubblica che ospitare una centrale nucleare è un'opportunità e non una sciagura".
sulla scelta dei siti il sottosegretario ha ricordato che saranno gli operatori a dover decidere "di fare la centrale in un sito, poi spetta a noi verificare se questo è idoneo. noi prepariamo le regole".