unità di tempo luogo azione, il vecchio ermanno olmi concentra una compagnia di fanti in una trincea cupissima del caposaldo in alta quota in una giornata del novembre 1917, mentre in friuli il fronte franava dopo l’isonzo anche sul tagliamento.
in questa giornata dall’alba all’alba si concentra tutto – la tragedia collettiva – il dramma personale – l’immensità delle montagne sotto la stupefacenza della luna piena – il suicidio – la speranza – la rassegnazione.
succede tutto, e non succede niente.
è il film torneranno i prati, scritto così, torneranno i prati, tutto minuscolo senza nemmeno una maiuscola, come in questo blog. minuscolo come la vita breve di quella compagnia davanti alla trincea austriaca vicinissima e invisibile, separati solamente dalla distanza di una canzone.
ho scritto qui sopra che la vicenda accade in una giornata, dall’alba all’alba, ma è come una lunghissima notte in cui la neve fitta si alterna a schiarite che aprono la visione alle montagne rese accecanti dal plenilunio sulla neve.
il giorno non esiste.
cupezza, chiusura, senso di oppressione, freddo. non ci sono colori, e il film è un film nello stesso colore virato-seppia dei ricordi più lontani; meglio, i colori ci sono ma due soli.
gli ambienti interni al ricovero (si chiamava ricovero, non rifugio), quattro quinti del film, hanno la luce stinta e seppiata data dalle lanterne a petrolio, dal fumigare, dall’odore di sudore, dal tralucere delle braci nelle stufette da campo.
gli ambienti esterni, con la tenacia di una nevicata impegnativa oppure con la trasparenza ialina e algida della notte di luna piena su un panorama di vallate innevate che pare di toccar con mano, hanno la tonalità biancoceleste cupa della notte.
l’interno di un ricovero con un obice da 75
qui sopra, prima del trailer del film, ho scritto che nel film non succede niente. succedono le cose che erano normali nella vita di trincea, nel loro scorrere e nelle loro attese – ermanno olmi è un poeta dei tempi morti della vita reale.
ne avevo raccontato un altro film, il villaggio di cartone.
riassumo la trama, ispirata per molti aspetti ai racconti che dopo la guerra federico de roberto (il grande romanziere autore dei vicerè) pubblicò in diversi giornali, raccogliendoli poi sotto il titolo la paura.
cannone in caverna. sulla bocca è inciso gio☆ansaldo☆genova☆1917
all’alba, mentre un conduttore di muli intona fenesta ca lucive fra gli applausi degli austriaci deliziati, al caposaldo arrivano a cavallo un maggiore, un tenente di fresca nomina e un real carabiniere.
il rancio, con le gamelle e le fette di pane.
i due ufficiali portano al comandante dell’avamposto due ordini: posare una nuova linea telefonica di collegamento con il comando, poiché quella in uso è intercettata dagli austriaci, e occupare con un punto d’osservazione collegato telefonicamente il rudere di un casale abbandonato che, stando alle mappe, ha una visuale ottima sul nemico.
un soldato viene mandato a strisciare sulla neve per raggiungere il rudere, tirandosi dietro il doppino telefonico. il soldato viene abbattuto mentre striscia sulla neve appena uscito dal riparo.
la luna.
il comandante dell’avamposto, il capitano, si strappa i gradi e rinuncia all’incarico. un soldato si uccide con una schioppettata.
una volpe curiosa. un larice d’oro.
il comando della compagnia passa pro tempore al tenente arrivato al tramonto.
un topino. una lepre.
ci sono i segnali di una perforatrice austriaca che sta scavando una galleria di mina sotto la trincea italiana.
tiro d’artiglieria austriaca sul caposaldo; una cannonata prende un lato del ricovero; morti e feriti.
un portaordini trafelato porta l’ordine di sgombero. ritirata. (con caporetto tutto il fronte fu riadeguato).
i morti del bombardamento vengono sepolti nella neve mentre la compagnia lascia l’avamposto.
titoli di coda.
tutto qui.
una ballata sudata e oppressiva, accompagnate dalle note difficili del trombettista jazz paolo fresu.
gli appassionati di film d’azione s’annoieranno allo strazio.
ingresso a un ricovero e trincea con feritoia blindata
nel film non ci sono nomi. il tenente è il tenente, il maggiore è il maggiore, il conducente canterino di muli è il conducente e basta.
massa indistinta.
i soli nomi citati sono quelli all’arrivo della posta. nomi normali, di persone normali, di persone morte (i caduti, si dice) i cui nomi vengono ripetuti come un appello alla lettura delle buste della posta militare che i morti non leggeranno.
i nemici? non si vedono mai, non un austriaco.
è un nemico per etimasia: se ne pecepisce la presenza attraverso i suoi simboli.
le voci oltre il dosso, le cannonate, il sasso che riverbera il ronzio della perforatrice, una fucilata.
i soldati non provano orrore. veneti orobici napoletani carnici, hanno la sopportazione dei muli.
sono sconvolti invece gli ufficiali, fiondati dalla retorica savoiarda fra pidocchi sudore sangue.
invece del fandango, una marcia per il fango.
si sente già l’odore di squadre fasciste con la pistola e l’elmetto adrian.
*anche quelli che sono tornati indietro hanno portato dentro la morte che hanno conosciuto*.
non c’è retorica, neanche orrore.
molte recensioni che ho letto scrivono dell’assurdità della guerra. l’inutile strage. il grido di dolore di olmi contro la guerra. la mostruosità della guerra.
no; io non ho visto ciò se non come corollario ovvio.
ho trovato invece senso di cupa oppressione, rassegnazione, attesa, fatica.
una specie di normalità distorta.
la fotografia suggestiva di fabio olmi crea i due ambienti, il chiuso del ricovero e l’immensità algida della montagna, microcosmo e macrocosmo. una natura disinteressata alla tragedia dell’uomo.
attori: molto bravi.
non li cito – li terrò senza cognome-e-nome come i personaggi anonimi che interpretano.
molti di loro sono gente arruolata dal casting direttamente sull’altopiano dei sette comuni.
il baraccamento realizzato per le riprese non è stato smontato com’è d’uso, e invece è stato conservato e fa parte dei percorsi di rievocazione degli eventi di un secolo fa.
segnalo fra le molte collaborazioni del film quella dell’edison e di francesca magliulo (con andrea prandi).
le scenografie di giuseppe pirrotta e i costumi di andrea cavalletto (con maurizio millenotti) hanno il realismo storico cui ci ha abituato ermanno olmi; le lampade a petrolio e le gamelle del rancio sono le stesse che ancora oggi trovo nel terreno tormentato di quei luoghi.
i racconti a viva voce che ho raccolto dai vecchi prima che morissero, i loro diari e le testimonianze scritte che ho studiato, le mie esperienze personali sui luoghi – il pertica, l’adamello, il kaberlaba dove ha girato olmi, l’ortigara, i forti sugli altipiani, il pasubio, il sabotino, la cengia martini, i solaroli-salaroli e mille altri luoghi da me incontrati personalmente – dicono che quella notte nel ricovero di ermanno olmi è davvero così, nell’attesa e nei dettagli, nel niente e nel tutto delle ore fumose e imbacuccate, nel sangue sporco di fango e nel fango sporco di sangue.
esattezza perfino nella costruzione della trincea, con il gradino su cui si saliva per sporgersi oltre la spalletta e sparare.
smagliature nella ricostruzione storica? nella verità di trincea?
sì. penso di averne notate, minime.
a un tratto nel cielo nero della notte ho intuito il brillare della luce rossa anticollisione di un aereo di linea, entrato inconsapevole nella ripresa.
poi, dopo il bombardamento austriaco sul caposaldo, i soldati avrebbero dovuto lanciarsi sulle feritorie in attesa dell’assalto nemico – era la normalità, e in genere passava meno di un minuto fra la fine delle cannonate e l’urrà degli austriaci a ridosso dei reticolati.
invece nel film quando il tiro austriaco allunga, tutto continua come prima, nel nulla dell’attesa.
dentro a torneranno i prati ci sono sfumature di eric maria remarque (all’ovest niente di nuovo) e di mario rigoni stern, citati da molti commentatori, ma nel film io ho sentito anche l’attesa del tenente giovanni drogo nel rivellino della fortezza bastiani, oppure l’anno sull’altipiano di emilio lussu e la rievocazione fedele del film uomini contro di francesco rosi, e c’è il racconto terrorizzato del regista italo-tirolese luis trenker, nato imperial-regio suddito, ufficialetto austriaco che raccontò il panico del cannoneggiamento degli italiani sul forte verle in cui egli si rintanava urlando con le mani sulle orecchie (e poi trenker divenne italiano, regista di spicco del fascismo, documentarista negli anni ’50 per produzioni italiane e tedesche, e infine vecchissimo pensionato che morì a bolzano nel ’90).
*di quel che c’è stato qui non si vedrà più niente, e quello che abbiamo patito non sembrerà più vero*.