problema.
uno dei due referendum sulla *privatizzazione dell'acqua* non riguarda per niente la privatizzazione.
al contrario.
il quesito con la scheda gialla invece di contrastare la privatizzazione ha come effetto la paralisi (lo trovo pazzesco) degli acquedotti pubblici.
in altre parole, se passassero i sì al referendum con la scheda gialla, gli acquedotti non avranno più i soldi per cambiare i tubi che pèrdono, per assumere analisti e comprare apparecchiature per il laboratorio d'analisi, per costruire un depuratore efficiente.
lo racconta bene qui sotto adolfo spaziani, direttore della federutility, l'associazione degli acquedotti pubblici e delle altre aziende di servizi pubblici locali.
avevo trovato e pubblicato un documento degli analisti londinesi della fitch, una delle più autorevoli società di rating, che diceva la stessa cosa: il referendum scheda-gialla blocca tutti gli acquedotti e rischia di mandarli al dissesto.
poi ho pubblicato un interessante commento di andrea gilardoni, professore alla bocconi e uno dei massimi esperti italiani di economia degli acquedotti.
mi spiego meglio.
dei referendm (nucleare, acqua, legittimo impedimento berlusconiano), sulla "privatizzazione" dell'acqua ci sono due schede.
uno dei due referendum riguarda i soci privati delle società acquedottistiche e di depurazione, e quindi è effettivamente relativo alla privatizzazione del servizio.
ma l'altro dei due quesiti del referendum, quello con la scheda gialla, riguarda la determinazione della tariffa del servizio dell'acquedotto idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito, e riguarda tutti, proprio tutti, gli acquedotti.
soprattutto quelli pubblici.
la domanda che ci sarà posta è:
volete voi che sia abrogato il comma 1, dell'art. 154 (tariffa del servizio idrico integrato) del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 "norme in materia ambientale", limitatamente alla seguente parte: "dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito"?
al dibattito qui aggiungo una nuova voce, appunto il parere di adolfo spaziani, che coordina gli acquedotti pubblici.
le argomentazioni consiglierebbero, almeno per non avere rimorsi, di non ritirare le due schede sull’acqua.
naturalmente non lo faranno le forze politiche, anche perché il marketing politico non premia le distinzioni.
in fondo è lo stessa motivazione che ha condannato l’opposizione per tanti anni a essere irrilevante.
l’unica sottolineatura è la mia assoluta convinzione che il "fuoco amico" colpisce pesantemente le aziende pubbliche efficienti e i pochi grandi gruppi di derivazione municipale che si sono spesi per far crescere una gestione industriale non dipendente dalla finanza derivata.
altro che difesa dell’italianità.
pensavamo nei prossimi anni di assumere ingegneri e tecnici.
invece ci troveremo a sviluppare contenziosi amministrativi senza fine (tar, consiglio di stato, grandi e piccoli studi legali).
penso solo alla distinzione tra il periodo ante referendum e quello successivo.
le imprese serie senza alcuna protezione sui molteplici rischi del settore (rischio credito, ambientale, regolatorio…) indirizzeranno le risorse in altri campi (le rinnovabili offrono un bel terreno di pascolo) e tutto sarà nelle mani della finanza pubblica che dovrebbe in questo momento essere indirizzata a sostenere lo sviluppo.
naturalmente la politica dopo aver omaggiato e lodato le proposte del governatore draghi, ha deciso di fare esattamente l’opposto.
del governo è meglio non parlare, anche per come ha trattato il nostro settore quando chiedevamo di superare alcuni buchi del decreto ronchi.
sono già costretto al lavoro a vedere come limitare i danni per gli acquedotti pubblici.
naturalmente, mi sarà caro il parere di tutti.