cinema. ermanno olmi e “il villaggio di cartone”. un inno dolente all’etica stoica. e altre storie.

ieri sera al piccolo teatro strehler di milano è stato dato in anteprima milanese "il villaggio di cartone", il nuovo film di ermanno olmi, presentato un mese fa alla mostra del cinema della biennale di venezia.

la serata al teatro strehler era sponsorizzata dall'edison e da banca intesa, con la collaborazione di rai cinema e del piccolo teatro e con l'aiuto di corriere della sera.
dopo la proiezione c'è stato un dibattito con – appoltronati sul palcoscenico del teatro – ermanno olmi, il banchiere cattolico giovanni bazoli, il prete di frontiera don gino rigoldi, sergio escobar (direttore del teatro) e il filosofo ateo giulio giorello; coordinatore, il direttore del corriere ferruccio de bortoli.

del dibattito farò cenno più sotto; ora parlo del film.

"il villaggio di cartone" è un film lentissimo, con dialoghi rarefatti e a bassa voce, estetizzante nelle immagini; un film che in apparenza parla del problema sociale dell'immigrazione clandestina.
in apparenza.

e in apparenza, parla della chiesa cattolica e della fede nei numi.
in apparenza.

"il villaggio di cartone" è un inno sofferto all'etica laica dello stoicismo.
è una presa d'atto della solitudine dell'uomo, senza numi a proteggerlo.
l'uomo trova sé stesso (ma non gli altri) attraverso l'esercizio sofferente e solitario dell'etica stoica.
il film testimonia la caduta del relativismo delle fedi e delle credenze e la dolente vittoria del dubbio e dei valori etici privi di divinità.

la storia narrata, in poche righe.
una chiesa di quelle moderne (cemento armato e vetrate astratte: il set è stato costruito nel palazzetto dello sport di bari) viene sconsacrata e vuotata degli arredi. il vecchio parroco va in pensione, e continua a vivere nella canonica.
nottetempo la chiesa viene occupata da un gruppo di clandestini africani, i quali restano accampati nella chiesa qualche giorno prima di un passaggio verso la francia, mentre il reverendo imbocca la fine della vita ripensando al suo passato.

ci sono personaggi e oggetti che affiancano la figura del vecchio sacerdote, e cenni collaterali di altre storie.
l'ingegnere africano e la puttana nigeriana, densi di umanità nelle loro scelte difficili e giuste; una coppia di giovani terroristi con la cintura al c4; alcuni crocifissi senza occhi; un medico ateo ebreo; il parrocchiano italiano, ambiguo nella sua scelta perbene nel male; un quadernetto traccia della memoria di un uomo.
e ci sono porte: tante porte, chiuse sprangate, inchiavardate, bussate, aperte, forzate, socchiuse.

tutto il film si svolge nella chiesa cementizia e nella canonica adiacente; nessuna immagine di esterni (se non filtrata attraverso inferriate, vetrate dai disegni astratti, finestre, schermi televisivi).
il mondo esterno si manifesta in questo intestino di cemento sotto forma di luci, il rombo di elicotteri rasoterra, polizie, macchinari, lampeggianti blu, scorci di cielo, lampi di torce.

qui il trailer del film
 

e qui le prime scene
 

la musica è di sofia asgàtovna gubaidùlina, bravissima e celebre compositrice russo-siberiana che ho sempre amato, anche se di sapore difficile per chi non è avvezzo alla musica contemporanea.

ecco un assaggio della musica di gubaidùlina: non è un passo della musica sonora del film ma serve per darti un'idea.
 

che cosa dice il film?

– la chiesa (l'edificio, metafora della struttura sociale ecclesiastica) ritrova la sua funzione quando viene rimosso il crocifisso dagli occhi chiusi e dolenti.
– il prete vecchio tiene nella chiesa devastata dall'abbandono un sermone sul dubbio, sul dubbio perenne e tormentoso.
– nel letto della
malattia, al medico ebreo il reverendo sussurra (nodo centrale del film): "il bene è più della fede"

– l'ingegnere africano aiuta gli immigrati: non per interesse, ma per dovere morale.
– la puttana nigeriana, uguale: aiuta gli altri per dovere morale, per un'alta morale che passa per il cuore e per il cervello.
– la preghiera come rimedio alla solitudine.
– il medico ebreo assolve il suo dovere d'uomo-senza-fede-nei-numi. quando aveva pregato l'ultima volta? da bambino, in campo di concentramento.

– chi non compie il dovere morale, chi tradisce l'ordine della giustizia è il parrocchiano bempensante.

ecco, l'asciutta solitudine del dovere morale.
la scelta del bene "più forte della fede", più forte del gesù del parroco, più di allà dei maomettani.
e questa scelta non si può condividere: il dovere morale è "più forte della fede" ma è più solo, come è solo chi lo pratica, che sia prete in pensione, ingegnere africano, puttana nigeriana o medico ebreo.

ecco che cosa scrisse dieci anni fa indro montanelli sul corriere della sera (clicca qui per leggere l'articolo integrale) in risposta a una lettrice.

lo stoicismo non è cosa da poterne parlare come di una moda o di una bizza con relativi aneddoti da spot televisivo: impariamo a distinguere le cose serie dalle baggianate.

come d' altronde tutte le altre scuole di pensiero, lo stoicismo nasce in grecia ad opera del filosofo zenone nel iv secolo avanti cristo, cioè in un momento che chiamerei di «vacanza celeste».


è a questo punto che interviene il credo stoico, il quale dice a questi poveri orfani del cielo: «non preoccupatevi di ciò che avviene lassù, e di cui nemmeno noi sappiamo nulla.
preoccupatevi soltanto delle regole da seguire nella vita terrena.
quali sono, queste regole?
sono il coraggio di fronte a tutti gli eventi, compresa la morte, la virile sopportazione dei triboli e delle difficoltà che la vita sempre comporta, la rinunzia alle seduzioni della vanità, l'indifferenza alle opinioni altrui.
e tutto questo non per guadagnarvi un premio nell' aldilà, che forse non esiste nemmeno; ma per l' intima soddisfazione di essere, tra gli uomini, più uomo degli altri».
questo, intendiamoci, è un riassunto molto approssimativo e altrettanto grossolano del credo stoico; ma – ritengo – esatto nella sostanza.
esso non fece molti proseliti ad atene dove c' era troppa concorrenza: socrate, platone, aristotele eccetera.
ma trovò più larga udienza a roma, dove incontrò il consenso di tre uomini tra i più importanti dell' urbe: il filosofo epitteto; l' istitutore di nerone, seneca; e più tardi l' ultimo grande campione della roma imperiale, marc' aurelio.
in italia i pochi, pochissimi, che sanno qualcosa dello stoicismo, lo sanno da questi tre uomini, e soprattutto da seneca, che ne fu, nelle stesse sue famose «lettere», non soltanto il maggior teorico, ma anche l' incarnazione e l' esempio.


essi riconoscono che seneca predicò sempre, ma non sempre razzolò, da grande stoico. non mi sento di entrare in questa diatriba: me ne mancano le nozioni.
ma ne ho quante bastano per poter dire che, anche se non sempre seppe vivere da stoico, da stoico seneca seppe morire quando ne ricevette l' ordine dal suo ex-pupillo nerone.
sdraiato nella sua vasca da bagno, offrì il braccio al dottore dicendogli: «punge, medice» (pungi, medico), e se ne lasciò svenare.
fu il primo esempio, credo, di eutanasia o «dolce morte», eseguito in collaborazione con la scienza e senza interventi di tribunale.
alto esempio di civiltà.
se poi lei, cara signora, vuole leggere o dare da leggere ai suoi figli o nipoti (ammesso che lei sia in età di averne) un testo di stoicismo moderno, uno ce n' è, stupendo: una poesia di kipling che s' intitola «if», che vuol dire «se».

dovrebbero esisterne anche delle traduzioni italiane, fra cui una mia, che però non ricordo da chi venne stampata.
forse l' autore non si rese conto di aver composto il breviario o catechismo del credo stoico. ma tale era. 

cliccando qui puoi leggere la poesia "if" di kipling, citata qui sopra da montanelli, in inglese e tradotta in italiano.

"il villaggio di cartone" non è un film su relativismi come la cristianità o l'islam, né sull'immigrazione, bensì sulla solitudine della dignità.

questo concetto non è stato compreso al dibattito pubblico che al teatro strehler ha seguìto la proiezione.
il messaggio di olmi è come sfuggito.
il film è stato definito come una "testimonianza di fede cristiana", quando, al contrario, il film è la testimonianza della solitudine e della perdita della fede nei numi.
inascoltate anche le sue parole dirette: al microfono il vecchio regista ha detto che in questi anni ha coltivato sempre più il dubbio e adesso è fuori da ogni chiesa: "non credo più alle chiese religiose, laiche, culturali".
dice olmi davanti al pubblico dello strehler: "non avendo chiese sono solo. ma in questa solitudine ho capito il valore della libertà".

in sala (cito qualche nome) moni ovadia, adriano celentano, cesare romiti, ottavio missoni e altri.
sul palco, oltre a ferruccio de bortoli, un esuberante gino rigoldi – le sue porte sono sempre aperte ai deboli e agli oppressi – e due brevi interventi di escobar e giorello.
invece bazoli è stato noiosamente e trombonescamente vescovile: ha parlato a lungo, troppo a lungo, di valori cristiani, di fede cattolica, di scoperta del senso del sacro.
come se bazoli non avesse visto il film, come se non avesse ascoltato la viva voce di ermanno olmi, che fuori dalle chiese ha scoperto la libertà.
bazoli non aveva ascoltato olmi.
ma ha distribuito nel pubblico le sue perle di saggezza.

è un vizio ricorrente, non saper ascoltare.
penso per esempio al cardinale gianfranco ravasi, del quale do solamente un segnale dell'incapacità di ascolto: egli, ravasi, è iscritto a twitter.
il suo account è @cardravasi.

twitter è (similmente a facebook, ma in modo più asciutto) un luogo di scambio di pensieri, pareri, notizie e anche di corbellerie umane.
chi vi s'iscrive, è seguito da altri frequentatori ("follower"), i quali leggono i suoi pensieri, e al tempo stesso egli sceglie alcune persone da seguire ("following") per poterne leggere i pensieri.
è un ottimo luogo d'ascolto, twitter.

ebbene, il cardinale ravasi su twitter è seguito da oltre 500 persone "follower", tra le quali anch'io, alle quali ravasi distribuisce i suoi alti ed edificanti pensieri.
ma ravasi su twitter non segue nessuno. ha scelto di seguire i pensieri di numero 0 (in lettere: zero) "following" che egli possa ascoltare.

in twitter, il cardinale ravasi semina le sue perle di pensiero e non ascolta nessuno.

e il cardinale gianfranco ravasi è proprio il coordinatore di quel cortile dei gentili creato dalla chiesa cattolica per aprire una finestra d'ascolto sul resto del mondo che non crede nei numi.

nel mondo cattolico la propensione al rischio della sordità comincia a destare preoccupazione.
non a caso l'altro giorno con un bell'articolo armando matteo si chiedeva sull'avvenire, con voce cattolica: che cosa ci manca? perché i non-credenti temono noi e il "cortile dei gentili"?

cliccando qui puoi leggere l'articolo integrale di armando matteo pubblicato sull'avvenire.

eccone qualche passo:

già questo primo passaggio impone una seria analisi sul modo con cui la comunità dei credenti di fatto propone se stessa al mondo. ed è non poco faticoso per noi dover ammettere che a molte persone estranee alla religione, oltre che a moltissimi atei e agnostici, la chiesa appaia come una sorta di esercito che va all’assalto di coloro che sono da essa lontani e che intende riportarli in una specie di stato minorità mentale, caratterizzata dalla costruzione a rinunciare alla libertà di pensiero e di volontà. una tale paura della chiesa, cioè nei confronti della chiesa, fa pensare.

(quella libertà senza-chiesa di cui parlava olmi ieri sera)

da una parte essa è riconducibile all’ancora vigente sistema intellettuale illuministico, secondo il quale chi crede non pensa e chi pensa non crede; dall’altra, è pure l’effetto di una corrente di pensiero particolarmente critica nei confronti del sistema ecclesiale (si faccia mente ai rappresentanti del cosiddetto “nuovo ateismo”), che scrive e dice di tutto pur di dipingere il cattolicesimo ai limiti del caricaturale. tuttavia non possiamo escludere una quota di responsabilità da parte nostra nella costruzione di questa immagine molto diffusa di chiesa, capace appunto di suscitare spavento.
la prima idea che la proposta del cortile dei gentili suggerisce è, allora, uno sguardo lucido sulla realtà stessa della chiesa: quale suo aspetto genera, nei non credenti, negli atei, negli agnostici, un possibile sentimento di paura, di terrore, di spavento? perché a noi credenti è quasi come impedito rivolgere un invito più diretto e immediato all’ascolto del vangelo e alla proposta della fede di gesù, che nulla di meno rappresenta del massimo esercizio della libertà e dell’uso della ragione umana?

torno a ermanno olmi.

che c'entra l'edison con il regista?
c'entra perché olmi cominciò a girare i film come dipendente dell'edison.

ecco la storia, come la raccontavo in un mio articolo scritto nel 2008 sul sole 24 ore.

come buona parte delle fabbriche costruite negli ultimi anni, anche il cinema industriale di oggi è in genere ripetitivo. sullo schermo scivolano le ricostruzioni al computer, le immagini delle persone al lavoro riprese con inquadrature ovvie, i rendering degli impianti commentati da un tappeto continuo di musica ritmata e da una voce fuori campo che sembra quella della pubblicità delle merende al cioccolato. sono filmetti funzionali, utilitari, documentali. (si producono, beninteso, anche film industriali di pregio, ma sono una rarità).
nel 1956 invece per documentare la costruzione di una diga idroelettrica ai piedi dell'adamello l'edison aveva ingaggiato pier paolo pasolini come autore dei testi ed ermanno olmi come regista. le grandi imprese assoldavano alla cinepresa michelangelo antonioni o bernardo bertolucci, che per l'eni nel '66 diresse la via del petrolio.

una carriera cominciata nella società di foro buonaparte. ermanno olmi è nato il 24 luglio del 1931. suo padre morì in guerra. la madre di olmi lavorava all'edison, e spediva il piccolo in vacanza alla colonia edison. nel '53 venne assunto dalla società e fu destinato ai servizi generali; si occupava del dopolavoro edison. recite aziendali (regista, un dipendente vicino alla pensione) e filmetti con la cinepresa amatoriale. opera prima (non censita da alcun dizionario del cinema e dispersa): gita sociale in val formazza. cose da dopolavoro.

nel '54 girò il suo primo film ufficialmente censito, piccoli calabresi sul lago maggiore, pochi minuti in bianco e nero della casa di produzione sezione cinema edisonvolta dove olmi raffigura i bambini nella colonia vacanze per i figli dei dipendenti, quella colonia
che lui aveva frequentato con le braghette corte.

olmi è rimasto dipendente dell'edison fino al '63, quando arrivò il terremoto della nazionalizzazione elettrica, nacque l'enel.

il brevissimo manon finestra 2 (1956, testo di pasolini) e il tempo si è fermato (1959). aiuto regista, montatore, fotografia: tutti dipendenti dell'edison. in entrambe le pellicole, l'ambientazione sono le dighe idroelettriche in costruzione ai piedi dell'adamello, dove gli operai – tutti con i baffi d'ordinanza – lavorano «in esilio vicino al cielo», parole di pasolini. le dighe cìmego e veneròcolo (oggi dell'enel). nessun rendering, nessun sottofondo musicale. gli impianti si intravedono, e protagonista è l'uomo, attraverso il quale passano le storie della vita, le generazioni che cambiano, il sudore, l'etica del lavoro. quell'etica minimalista del lavoro cantata da primo levi con la chiave a stella.

concludo con due note a margine.
personale per la brava valentina cravino: non sottovalutare le nuove forme di espressione consentite dal web al giornalismo.
per tutti i lettori: i
l trailer del film il mestiere delle armi, di dieci anni fa:

 

  • jacopo giliberto |

    corretto pervasive e pervasivi

  • tito |

    Viva il libero pensiero. D’accordo. Dietro però al paravento del libero pensiero si nasconde talvolta una grandiosa operazione di potere. Rompere i tabù dà libertà? Piuttosto: rompere i tabù dà potere e ricchezza. Esempio banale: rompere il tabù di una riserva naturale arricchisce e dà potere allo speculatore edile. Perciò chi rompe i tabù – dietro al paravento della libertà di pensiero e dell’antidogmatismo – dispone di un vantaggio di tipo faustiano o prometeico. Il rischio, però, è la disumanizzazione. A quando la creazione in bio-laboratorio di un operaio con quattro braccia e senza cervello? Viva la libertà, la scienza, il progresso. A morte il Dio-uomo.

  • tito |

    da correggere: pervasivi e non pervasive.
    grazie tito

  • tito |

    La democratica atene condannò Socrate alla cicuta. Perciò i dogmi e le cicute sono strumenti delle culture di volta in volta dominanti. Nel medioevo i dogmi erano imposti dal cattolicesimo. Oggi sorgono nuovi dogmi e nuove intolleranze laiche prodotte dalla nuova cultura dominante. Tuttavia risultano meno visibili e più pervasivi rispetto ai dogmi vecchi o anacronistici.

  • jacopo giliberto |

    sarà, ma a me l’esercizio del dubbio non pare una virtù neo-cristiana, né olmi mi pare tale. in genere chi ha certezze dà, a chi coltiva il dubbio, cicuta.

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