(nell’immagine qui sopra: una scena di uno spot realizzato negli anni ’80 dalla fiat per il mercato inglese).
interessante, merita andare a vederlo.
fino al 2 novembre alla scala di milano va in scena l’opera giulio cesare in egitto di händel.
bello.
molto bello.
sono quasi cinque ore di musica; i tre atti sono stati accorpati in due, con un intervallo centrale.
la regia fine e asciutta è di robert carsen.
dirige giovanni antonini.
giulio cesare è il contraltista bejun mehta (apparentato alla lontana con zubin mehta).
christophe dumaux è un barbuto tolomeo.
il virtuosissimo controtenore philippe jaroussky è l’adolescente sesto pompeo.
danielle de niese è cleopatra.
la trama in poche righe.
giulio cesare sbarcato in egitto con le sue legioni per combattere contro il suo amiconemico gneo pompeo si imbatte nel re d’egitto tolomeo, il quale per ingraziarsi cesare gli recapita la testa di pompeo assassinato a tradimento e decapitato.
cesare s’incazza; il figlio e la moglie (sara mingardo) di pompeo giurano vendetta contro il re d’egitto.
e pure la sorella di tolomeo, cleopatra, litiga con il fratello su chi deve regnare.
mentre cesare è a palazzo ad alessandria, tolomeo gli ordisce un tranello per accopparlo e cleopatra invece cerca di sedurre cesare, e se n’innamora.
il tranellone di tolomeo fallisce; cesare e cleopatra innamorati prendono il potere; l’adolescente sesto pompeo accoppa il perfido tolomeo e vendica così il padre decapitato; l’ordine costituito viene ripristinato. gioia e coro. sipario. applausi.
l’ambientazione (scene e costumi di gideon davey) non è né quella ellenistica in cui si svolsero i fatti narrati; né l’egitto in stile cesare e cleopatra con liz taylor; né quella parruccona e boccoluta in stile misteri del giardino di compton house (the draughtsman’s contract) di peter greenaway e suoi epigoni flou.
l’ambientazione è moderna, fra europei e arabi. è una rilettura semplicistica e leggermente macchiettistica dello scontro storico fra europa e vicino oriente.
belle coreografie di rebecca howell.
la scenografia è più che sobria con alcune trovate interessanti: bassorilievi egizi con mitra e bombe, uno spettacolare bagno d’asina in cui le ancelle avvolgono cleopatra in un velo bianco.
la testa mozzata di gneo pompeo non si vede ma è come se; nella prima scena la testa è contenuta in una scatola di cartone che gronda sangue.
i romani indossano giacca e cravatta e fanno lo shopping nel quadrilatero (a un certo punto se ne vedono gli acquisti),
gli egiziani sono vestiti da sceicchi d’arabia, con il tunicone e il tovagliato a scacchi tenuto fermo sulla testa dai cordoni.
tolomeo viaggia in mercedes nera come uno califfo.
nel finalone, giulio cesare e cleopatra in vestiti all’europea firmano un protocollo d’intesa davanti a un gasdotto dipinto nel rigoroso giallo del metano (nell’industria energetica tubi e valvole hanno colori diversi secondo il fluido trasportato, e il giallo è il colore del gas mentre il verde è quello del petrolio). vengono fatti rotolare fusti di petrolio con il marchio di un’eni immaginaria, cioè un cammello a sei zampe con la fiammata dalla bocca (invece del solito cane a sei zampe con fiammata).
sono interessantissimi, rotondi e potenti mehta e de niese.
è bravissimo, ipertecnico, impacciato nei movimenti e un po’ gerboso il gorgheggiante jaroussky.
sono da segnalare anche christian senn, renato dolcini e luigi schifano.
la musica è tosta, quell’händel che esce dritto dritto dalla scuola romana di scarlatti-padre e di corelli, e se ne sente tutto il gusto romano nelle varie arie-in-levare, nelle arie-delle-furie, nella liricissima aria “piangerò la sorte mia” (cleopatra) che strappa applausi.
ci sono molte citazioni alle diverse scuole musicali, come il virtuosismo descrittivo del teatro alla moda nell’aria vivaldiana “se in fiorito ameno prato” (giulio cesare).
è ossessiva e meccanica la ripetizione dello schema recitativo – aria con da capo – recitativo – aria con da capo – recitativo (eccetera).
libretto mediocrissimo in stile para-metastasio ma direi meta-parastasio, quello stile tipo “deh volgi del bel ciglio i rai” (verso inventato orora da me giusto per dare idea, ma di certo esiste già in qualche “antrace re del ponto”).
insomma, non è ancora l’händel più maturo e gigione degli anni successivi.
l’orchestra barocca della scala diretta dal solido giovanni antonini va benissimo, come un treno.
facciamo abbastanza schifo noi pubblico, che applaudiamo alla fine di ogni aria (ebbasta! ebbasta con questo applauso che pare l’atterraggio del ryanair).
fra noi in sala ho raccolto commenti pessimi dei soliti intenditori abituati all’ernani e ai vespri siciliani, cioè quelli che “conosco händel, è quello del messia“. questi intenditori che non se ne intendono dicevano: che cantanti mediocri, e queste sarebbero scenografie, che brutte voci (mammamia! jaroussky ha un’estensione impressionante! arriva pulito al mezzosoprano!).
noi pubblico mediocre adatto per l’ernani e il trovatore non ci meritiamo queste chicche.
ma tu, che ne capisci di più, meriti questo giulio cesare vibrante, spassoso, tosto, gnocco.
musica. la marsigliese è stata composta da un italiano e copincollata dai francesi.
musica. opera. raccomando il don pasquale secondo livermore e fellini.
lirica. alla scala il trionfo del tempo. gran musica, poca scena.
opera lirica. l’incoronazione della scala. che non è di claudio monteverdi.