clicca qui per leggere la terza parte di questo articolo: ilva/3, il benzopirene delle cokerie
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continuo a raccontare la vicenda dell’acciaieria ilva, e sono arrivato attorno al 2010 quando a taranto il bisogno giusto di ridurre l’inquinamento e di difendere la salute dei cittadini comincia ad assumere le forme di un desiderio di punire l’ilva arrogante e inquinante.
l’approccio con il tempo appare cioè sempre vendicativo, una voglia di rivalersi.
è giusto? sicuramente è comprensibile, ma il desiderio punitivo di rivalsa può far commettere errori e irrigidisce la controparte inquinante.
accade per esempio con la questione del benzopirene emesso dalle cokerie, cancerogeno. ne scrivo nell’articolo precedente (clicca qui).
il benzopirene (detto anche benzo(a)pirene con la (a) fra parentesi) trafilava dalle batterie di cokefazione e si disperdeva in aria.
mentre le emissioni convogliate (le ciminiere) sono normate con precisione, le emissioni fuggitive (le perdite incontrollabili) hanno regole diverse.
la legge fissa come obiettivo di qualità (non come limite: come obiettivo di qualità da conseguire in futuro) non più di 1 nanogrammo di benzopirene per metro cubo d’aria e come valore limite da non superare i 2,5 nanogrammi.
i rapporti di arpa e asl rilevano che nel 2010 lo stabilimento emette un valore medio annuo di 1,3 ng/m3 ritenendo scavalcato il limite di legge di 1 (che ripeto è un obiettivo cui tendere, mentre il limite è 2,5).
la procura di taranto scalpita e spinge sul sindaco.
il sindaco emana un’ordinanza sbagliata contro il benzopirene dell’ilva.
l’ilva non negozia: ricorre di filato al tar e vince, stravince.
di sconfitta in sconfitta (degli enti locali contro l’ilva) e di vittoria in vittoria (dell’ilva contro gli enti locali) questo atteggiamento di rivalsa comprensibile contro l’arrogante e inquinante acciaieria si acuisce.
da obiettivo ambientale (giusto) diventa desiderio di punire (giusto?) e poi diventa una brama compulsiva che giunge a desiderare in molti la chiusura dell’ilva.
l’obiettivo della chiusura definitiva, della sanzione suprema, di cancellare con la sentenza capitale, comincia a configurarsi quando la procura decide di attivarsi in prima persona con i sequestri dell’estate 2012.
oggi, quattro anni dopo, pare avvicinarsi alla sua realizzazione.
torno a quegli anni.
dal 2009 in poi accade che ogni atto sempre più scoordinato degli enti locali per mettere un freno all’inquinamento dell’ilva e poi per punire l’ilva approda al tar.
e la società ilva vince una causa dopo l’altra.
dice la società, con atteggiamento non conciliante: noi ci atteniamo alla legge; noi inquiniamo nella misura consentita dalla legge e vogliamo poterlo fare.
è un atteggiamento rigido che danneggia l’ambiente e la salute ma anche fa schiumar rabbia nella controparte, la quale con il tempo diventa sempre più frenetica.
viceversa, l’atteggiamento sempre più punitivo indispettisce l’ilva, la quale già poco sensibile diventa sempre meno disponibile a negoziare investimenti verdi.
e i giudici amministrativi confermano il fatto che il fervore punitivo contro l’ilva può conseguire risultati opposti all’obiettivo di disinquinare.
è da leggere con attenzione quanto scrivono i magistrati amministrativi: gli atti degli enti pubblici “soltanto apparentemente sembrano essere posti a tutela della salute e dell’ambiente, mentre in concreto gli stessi – attraverso continui e repentini mutamenti di metodologie e parametri di riferimento – contribuiscono unicamente a rallentare, se non a disattendere, il raggiungimento degli obiettivi di bonifica” (ordinanza tar puglia-lecce 478/2008).
lo scrivo di nuovo: “soltanto apparentemente sembrano essere posti a tutela della salute e dell’ambiente, mentre in concreto gli stessi – attraverso continui e repentini mutamenti di metodologie e parametri di riferimento – contribuiscono unicamente a rallentare, se non a disattendere, il raggiungimento degli obiettivi di bonifica”.
in altre parole con il passare del tempo e con l’infittirsi dei provvedimenti, l’ambiente e la salute diventano lo strumento per punire l’azienda, non più il fine da conseguire.
l’elenco degli errori commessi nell’intento di sanzionare l’acciaieria (e non di difendere la salute e l’ambiente) è quasi imbarazzante.
cito solamente alcuni dei casi.
per esempio nel 2012 la provincia di taranto, interpretando un regolamento regionale (18/2007), ha ingiunto all’acciaieria di prestare garanzie finanziarie per 320 milioni di euro (invece 20 milioni sino al 2011 richiesti e prestati) per l’attività di gestione dei rifiuti industriali e di esercizio delle discariche interne allo stabilimento.
l’ilva ricorre e il tar dice che ha ragione.
la provincia ricorre al consiglio di stato, e anche il consiglio di stato dà ragione all’ilva.
e lo stesso accade con gli scarichi delle acque industriali dello stabilimento (tar puglia-lecce sentenza 1007/2004, consiglio di stato sezione v, sentenza 4648/2005);
con la gestione delle discariche all’interno del sito produttivo (tar puglia-lecce sentenze 1551/2009 e 553/2011);
sulle emissioni (tar puglia-lecce sentenza 1081/2011);
con le prescrizioni per la decontaminazione e la bonifica dell’area(tar puglia-lecce sentenza 329/2012).
la sequenza di ricorsi vinti continua:
per l’aia del 2011,
per il sequestro deciso dai magistrati penali,
per le richieste di risarcimento di cittadini di taranto ammalati e morti forse a causa dell’inquinamento,
e così via.
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(4 – continua)