il primo nodo della vicenda ilva sorse quando nell’estate 2012 il partito della chiusura dello stabilimento si accorse che rischiava di perdere la guerra.
l’obiettivo della chiusura si allontanava perché si stava aprendo una via alternativa.
la società siderurgica, assediata dagli interventi della procura di taranto guidata da franco sebastio e della giudice per le indagini preliminari patrizia todisco, aveva deciso di piegarsi al ministero dell’ambiente e di investire sulla sostenibilità dell’azienda.
la strada degli investimenti ambientali avrebbe potuto evitare la chiusura della fabbrica di taranto.
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l’acciaieria era stata creata a metà anni ’60 come italsider dell’iri ed era stata acquistata trent’anni dopo dal gruppo siderurgico milanese riva.
per mezzo secolo aveva impestato la città con forti emissioni di diossina.
la diossina è un composto molto stabile e pesante che non viene portato via con facilità dalla pioggia e che si degrada nel tempo con estrema lentezza.
a taranto il fenomeno di accumulo della diossina (tetraclorodibenzoparadiossina) nei decenni era stato notevole. ancora oggi questo composto resiste in forti quantità nei terreni attorno alla fabbrica, sebbene non se ne accumuli più.
inoltre taranto aveva (e ha) uno dei terrificanti primati del mesotelioma pleurico, un cancro che uccide fra tormenti atroci senza alcuna speranza di guarigione. il mesotelioma è un cancro che ha un’origine chiara e netta, l’amianto. a taranto era ed è prodotto dall’amianto diffuso per decenni in grandi quantità dalle lavorazioni dei cantieri della marina, quando non si conosceva la sua pericolosità. le conseguenze di quell’amianto dureranno ancora, ahinoi, per anni perché il “periodo di latenza” può durare decenni prima che l’orrenda malattia si manifesti.
inoltre l’aria di taranto era sporcata dalla raffineria dell’eni, dal cementificio cementir, dalla polvere del carbone usato dall’ilva e accumulato a montagne nei piazzali, dal benzopirene dell’ilva e così via.
la qualità dell’aria a taranto era pessima ma assai migliore dell’aria respirata nella pianura padana (clicca qui per leggere l’articolo “smog, tutto quello che sai e anche quello che non sai”).
se quella di taranto è un’aria migliore di quella respirata a vercelli o padova o busto arsizio, tuttavia si consolidò nel pensare comune l’idea che a taranto l’ilva facesse strage quotidiana fra i cittadini. gran parte degli italiani immaginavano che i tarantini cadessero stecchiti per strada ogni giorno.
di sicuro i suoi fumi erano pesanti e hanno mietuto vittime, purtroppo; ma quante ne mietono altre acciaierie europee.
eppure le proteste dai toni efficaci, le dirette tv dei programmi d’informazione (gad lerner vi dedicò una puntata del programma l’infedele) e i titoloni dei giornali avevano convinto gran parte degli italiani che il vecchio stabilimento dell’antipatico imprenditore milanese emilio riva rendesse mortale all’istante l’aria di taranto.
ricordo che alcune persone erano così preoccupate che s’informavano se per andare al mare in salento fosse a rischio la vita nel passare con il treno per taranto, se fosse opportuno tenere chiusi i finestrini e così via.
l’obiettivo della chiusura dell’acciaieria era a portata di mano finché, nella primavera 2012, il nuovo ministro dell’ambiente corrado clini, medico del lavoro, lesse i rapporti epidemiologici.
il ministro clini in quella primavera decise di sospendere e di rifare daccapo, in modo serio, la discutibile autorizzazione ambientale aia che era stata concessa pochi mesi prima dalla signora ministro stefania prestigiacomo (governo berlusconi). l’autorizzazione ambientale molto compromissoria firmata da prestigiacomo era stata approvata con entusiasmo dal presidente della regione nichi vendola e dall’azienda ilva.
rifare l’autorizzazione aia cancellando quella debole dell’anno precedente e accogliendo le indicazioni ambientali della procura di taranto significava fare un piano di investimenti ambientali molto importanti.
e significava trasformare l’azienda in un modello avanzato di compatibilità fra produzione, salute e ambiente.
significava non chiudere l’acciaieria, bensì renderla compatibile.
si accese così uno scontro fra chi voleva la chiusura netta della fabbrica e chi spingeva per l’ambientalizzazione secondo le indicazioni in apparenza inapplicabili chieste dalla procura.
figure come angelo bonelli (un esponente di rilievo dei verdi che si era candidato con modesto successo come sindaco di taranto) o alessandro marescotti (a capo dell’associazione locale peacelink) affinarono la qualità delle loro proteste per conseguire la chiusura della fabbrica.
una parte della stampa era concorde con questo obiettivo di chiusura.
la magistratura, di fronte all’ipotesi che l’acciaieria non chiudesse, divenne una produttrice accanita di atti che bloccassero il processo di risanamento e ammodernamento.
nell’estate 2012 i magistrati tolsero per la prima volta all’ilva la gestione dello stabilimento nominando alcuni custodi giudiziali.
e cercarono di paralizzare l’attività della commissione ministeriale che entro settembre avrebbe rilasciato la nuova e rigorosa autorizzazione ambientale aia.
ai primi di settembre dei 2012, così, i custodi giudiziali della procura che gestivano l’azienda cercarono in molti modi di bloccare l’attività della squadra ispettiva del ministero.
ecco un documento, una lettera con cui la procura (tramite i custodi) impone agli ispettori ministeriali di mandarle in via preventiva tutti i loro atti. contesta il merito tecnico delle ispezioni. impone che ogni atto di un’amministrazione dello stato titolare esclusiva del procedimento tecnico (il ministero dell’ambiente) venga concordato in via preventiva con un altro organo dello stato non competente (la magistratura).
questa lettera è un esempio fra decine e decine di impedimenti all’ambientalizzazione, e fu pubblicata anche dalla gazzetta del mezzogiorno con un commento del bravissimo cronista tarantino mimmo mazza.
contro l’ambientalizzazione e a favore della chiusura dell’acciaieria si aggiungevano in quei giorni lo scontro tra gli enti locali contro l’arpa puglia sui dati della qualità dell’aria e sulla gestione delle discariche dei rifiuti dell’ilva e uno scontro di nichi vendola tramite interviste sui giornali.
il tono comune contro l’ambientalizzazione veniva da chi aveva esaltato l’aia “delicatissima” emanata dal governo berlusconi l’anno precedente e diceva: si può fare di più, non è stato fatto abbastanza, io sono più puro e più duro, io sono il cavaliere senza macchia senza paura, la mia controparte sta facendo compromessi sulla pelle dei tarantini e dell’ambiente.
se le rilevazioni epidemiologiche rilevavano un pazzesco e doloroso tasso di mesotelioma pleurico dovuto all’amianto dei cantieri navali, sui giornali e sui blog la colpa era dell’ilva.
se l’arpa rilevava che lo scirocco aveva portato su taranto le polveri dei deserti, i giornali e i blog dicevano che l’arpa è composta da babbei e la colpa era dell’ilva.
l’ilva aveva (e ha tuttora) una responsabilità gravissima nell’inquinamento di taranto. ma non quella che può apparire ai più: forse maggiore o forse no, ma sicuramente una responsabilità diversa da quella che viene attribuita dai più. vedremo che cosa stabilirà il processo penale, ancora agli esordi.
(ciò che hai letto qui sopra è stato vissuto in prima persona perché a quei tempi lavoravo al ministero dell’ambiente.
ero stato portavoce prima del ministro corrado clini (governo monti) e poi di andrea orlando (governo letta) che oggi è ministro della giustizia).
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(continua)