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clicca qui per leggere l’articolo “il risanamento ambientale ha perso tre anni e alcuni miliardi”.
nelle precedenti puntate avevo raccontato come attorno all’ilva di taranto si fosse accesa un’attenzione nuova, dopo 45 anni di tanta produzione e tanto inquinamento.
le prime proteste ambientali avevano irrigidito l’azienda, che sommava l’approccio di impresa delle partecipazioni statati con quello tradizionalista del padrone delle ferriere emilio riva, il vecchio industriale milanese dell’acciaio poco procline alle novità sociali e alle sensibilità nuove il quale nel ’95 aveva comprato l’azienda.
a ogni azione antinquinamento della regione di nichi vendola o del comune guidato da ippazio stefàno, l’azienda rispondeva con ricorsi al tar.
e li vinceva tutti, con una sequenza imbarazzante di vittorie per l’azienda e di sconfitte per gli enti locali che volevano mettere un freno all’ilva.
di vittoria in vittoria giudiziaria dell’acciaieria, e di sconfitta in sconfitta giudiziaria degli enti locali, l’atteggiamento del mondo ambientale cambiava: non più il desiderio giustissimo di ridurre l’inquinamento dello stabilimento, bensì emergeva sempre più forte una rabbia di rivalsa, un desiderio di punire, che rendeva sempre più difficile una negoziazione fra città e fabbrica per conseguire il bene condiviso, cioè la salute e l’ambiente.
le rivendicazioni, le ordinanze – dapprima formali e condivisibili – di fronte alle sconfitte ripetute davanti al tar lasciavano vedere sempre più lo schiumar rabbia, e si riempivano di errori sempre più marchiani che rendevano sempre più lontano il risanamento.
l’obiettivo di associazioni ecologiste ed enti locali non era più *far ridurre le emissioni* ma *condannare a morte la fabbrica*.
obiettivo che forse ora è assai vicino.
il fatto è che, come avevo raccontato nelle pagine precedenti, le emissioni dell’ilva erano sì pesanti, inquinanti, e sicuramente hanno prodotto vittime; ma quelle emissioni erano inquinanti nella misura in cui lo consentivano le leggi.
le due parti parevano inconciliabili.
l’azienda con tracotanza diceva: fino a quanto me lo consente la legge, io inquino quanto mi pare.
gli anti-ilva dicevano: quella fabbrica deve scomparire dalla faccia della terra, con ogni mezzo.
da chiudere con ogni mezzo? in questo modo, nacque una campagna che – partendo da fatti veri, l’inquinamento di taranto da parte dell’acciaieria e di tutte le altre grandi istallazioni industriali altamente inquinanti della zona – ha usato una valanga di dati falsi, di messaggi emotivi, di bugie strumentali; ciò ha creato attorno a quella (sporca e arrogante) fabbrica un’immagine catastrofica che gli italiani si sono bevuti con facilità.
ne scriverò nelle prossime puntate.
ma vengo all’aia.
che cos’è un’aia
l’aia (sigla di autorizzazione integrata ambientale) è un complesso documento previsto dalle norme europee che unisce in sé l’autorizzazione all’esercizio di un grande impianto – cioè un’autorizzazione industriale come quelle del ministero dello sviluppo economico – con l’autorizzazione ambientale.
l’aia viene rilasciata dal ministero dell’ambiente, anziché dallo sviluppo economico, perché il tema ambientale in impianti di una certa tipologia è preminente.
il documento viene preparato entro 6 mesi dall’avvio della procedura da un gruppo di esperti nominati dal ministero, tra cui rappresentanti degli enti locali come regione provincia comune, i quali conducono ispezioni, studiano gli impianti, esaminano le tecnologie e dettano le prescrizioni e impegni ambientali cui l’azienda deve attenersi per poter produrre.
l’aia dura 5 anni e poi va rifatta.
nel caso dell’ilva, l’aia 2011 avrebbe avuto valore fino al 2016.
è un’autorizzazione negoziata: trattare è obbligo, non reato
l’aia ha una particolarità.
non è un documento chiuso.
non è un’autorizzazione imposta e poi congelata, cioè fotografica.
secondo le norme europee, è un documento aperto frutto di una negoziazione (frutto di una negoziazione, ripeto) fra la commissione ministeriale e l’impresa.
rilasciata, l’aia poi viene adeguata a mano a mano nel tempo con l’evolvere dei lavori di adeguamento degli impianti, migliorata, corretta.
è questo un aspetto importante.
quando le associazioni anti-ilva (e i magistrati) contestavano il fatto che gli espertissimi della commissione ministeriale parlavano e trattavano con l’azienda, come se fosse un reato, ebbene, gli inspettori dovevano (do-ve-va-no) parlare continuamente con l’azienda, negoziando l’introduzione di innovazioni ambientali, modellando l’autorizzazione a mano a mano che veniva configurandosi.
chiaro?
l’aia 2011 era inapplicabile
dopo cinque anni di istruttoria lentissima (invece dei sei mesi massimi stabiliti dalla legge), il 4 agosto 2011 venne rilasciata dalla signora ministro dell’ambiente stefania prestigiacomo (governo berlusconi), d’accordo con la regione puglia e gli enti locali che avevano fatto parte della commissione d’esame, l’autorizzazione integrata ambientale per l’ilva di taranto.
il documento aia dell’agosto 2011 conteneva 462 prescrizioni.
un’esagerazione, inapplicabili.
era una manna per tutti tranne che per l’ambiente e la salute.
le 462 prescrizioni davano agli anti-ilva la possibilità di cantar vittoria: siamo dei leoni, siamo duri, dovete votare per noi, noi vi salviamo, abbiamo imposto all’acciaieria l’obbligo di diventare pulita.
le 462 prescrizioni davano all’ilva la possibilità di non spendere un quattrino: inapplicabili, discordanti fra loro, fantasiose quanto un passo di alice nel paese delle meraviglie, zeppe di errori che avrebbero significato uan messe di sentenze al tar.
l’entusiasmo dei politici
ecco il comunicato stampa dai toni entusiasti della regione puglia, diramato martedì 5 luglio 2011 alle ore 15,27:
si è chiuso oggi il procedimento relativo al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, di competenza del ministero dell’ambiente, per lo stabilimento ilva di taranto.
“si tratta di un passaggio di valenza storica per il territorio tarantino e per la puglia tutta. siamo convinti – afferma l’assessore alla qualità dell’ambiente, lorenzo nicastro, presente a roma in rappresentanza della regione, insieme ad arpa, ispra, comuni di taranto e statte, provincia di taranto e ministero della salute – che si apre oggi una fase nuova e molto importante nei rapporti tra la città e lo stabilimento. infatti, a seguito dell’emanazione del decreto da parte del ministro dell’ambiente, entreranno in vigore limiti emissivi più bassi rispetto a quelli oggi vigenti, in linea con le migliori tecnologie disponibili”.
“il lungo lavoro istruttorio ha coinvolto, oltre alla regione, numerosi soggetti portatori di interesse, dalle associazioni ambientaliste, ai sindacati, agli enti locali che, con il loro quotidiano contributo, hanno consentito un’analisi rigorosa della realtà e la definizione di tutte le misure necessarie alla salvaguardia dell’ambiente ed alla tutela della salute. abbiamo chiesto ed ottenuto un miglioramento delle attuali condizioni su diversi punti essenziali”.
“tra questi, meritano una particolare segnalazione le emissioni diffuse e concentrate in atmosfera. la regione, anche a seguito dell’approvazione delle leggi regionali anti-diossina e anti-benzoapirene, ha ottenuto, oltre alle già acclarate riduzioni di concentrazioni emissive, una data certa per l’avvio del monitoraggio in continuo delle diossine e l’impegno del ministero a rivedere l’aia in funzione del monitoraggio diagnostico in corso e del piano di risanamento avviato per la città di taranto a seguito degli sforamenti nel rione tamburi di b(a)p. per quel che concerne gli scarichi idrici, l’aia impone l’obbligo del rispetto dei valori limite previsti dalle migliori tecnologie europee a valle di ogni singolo impianto e, dunque, non più soltanto quelli previsti dalla legislazione italiana allo scarico finale”.
“l’aia, inoltre, non preclude l’attività di bonifica in corso sul sito di interesse nazionale, nonché ogni ulteriore intervento migliorativo anche alla luce delle migliori tecnologie disponibili che dovessero rendersi disponibili in futuro. siamo riusciti a tenere insieme – conclude l’assessore nicastro – le ragioni dell’ecologia con quelle dell’economia e del diritto al lavoro”.
questo documento accolto con entusiasmo fu una beffa solenne ai tarantini.
che cosa conteneva l’aia 2011
che cosa conteneva quella prima aia del 2011?
dal provvedimento 2011 era stata stralciata la parte relativa alle discariche, parte per la quale era stato necessario un approfondimento normativo e tecnico sulla competenza autorizzativa e per la quale il ministero si era impegnato di definire entro sei mesi una seconda e differente autorizzazione.
nel corso dell’istruttoria, riguardo le emissioni convogliate contenenti diossine, considerando anche quanto previsto da legge regionale, è stata da una parte riconosciuta l’opportunità di sviluppare modalità di monitoraggio in continuo, dall’altra l’indisponibilità, allo stato delle conoscenze, di migliori tecniche applicabili al caso specifico.
il capo della segreteria tecnica della signora ministro prestigiacomo (era quel luigi pelaggi che poi è stato inquisito) attivò direttamente in via autonoma uno specifico tavolo tecnico con enti territoriali, enti di ricerca e azienda; l’aia 2011 aveva demandato alle conclusioni di questo tavolo tecnico la definizione degli obblighi di monitoraggio in continuo delle diossine.
… e l’ilva stravinceva al tar
scrivevo poco sopra: un’aia 2011 resa inapplicabile da 465 vincoli era una manna anche per l’ilva.
e così la società ilva aveva fatto ricorso al tar contro gran parte delle prescrizioni, ritenute in contrasto tra di loro e nei confronti delle norme vigenti.
e il tar di sentenza in sentenza aveva riconosciuto la fondatezza dei ricorsi dell’acciaieria e disapplicava parti rilevanti degli impegni ambientali imposti all’ilva.
il tar accolse l’impugnazione proposta da ilva con l’annullamento di 25 prescrizioni inserite nell’aia 2011: con la sentenza 1187/2012 ritenne errate e illegittime quelle prescrizioni perché non rispondevano affatto ai criteri di sostenibilità previsti dalle “linee guida per l’implementamento delle migliori tecniche disponibili del settore siderurgico” emanate, sulla base della direttiva 96/61/ce e della successiva normativa tecnica europea, con decreto ministeriale del 31 gennaio 2005 (e pubblicate sulla gazzetta ufficiale 135 del 13 giugno 2005 – serie ordinaria 107);
il tar lecce con la pronuncia 201/2012 del 9 marzo 2012 sospese l’obbligo di istallare sistemi di abbattimendo di microinquinanti su alcuni camini, sospese l’affidamento all’asi della gestione della rete di scarico e altri impegni dell’aia 2011.
il tribunale amministrativo con la sentenza 2480 del 13 dicembre 2013 stabilì che la rideterminazione delle garanzie finanziarie da 18 milioni di euro a 320 milioni operate dalla provincia sulla base dell’aia 2011 era gravemente errata ed ha annullato gli atti.
faccio osservare che basandosi su questo omesso versamento delle garanzie finanziarie, definito legittimo dal tar, al contrario la gip di taranto patrizia todisco il 22 maggio 2013 ha contestato il reato di esercizio abusivo di discariche e traffico illecito di rifiuti.
cioè, ripeto per chiarezza: la provincia di taranto chiese soldi all’ilva per le discariche interne allo stabilimento, l’ilva fece ricorso contro la richiesta della provincia, il tar diede ragione all’ilva e disse che l’ilva non doveva pagare, la gip di taranto mise sotto accusa l’ilva per traffico di rifiuti per non aver pagato la provincia.
arrivarono le perizie d’accusa (strumentali)
la procura di taranto pensava il contrario del tar. secondo la magistratura penale, l’aia 2011 non sarebbe riuscita a ridurre l’inquinamento e i rischi per la salute dei cittadini.
e aveva ragione da vendere, la procura.
l’aia 2011 non risanava l’ambiente. era talmente severa e inapplicabile che avrebbe consentito di inquinare lautamente e sempre nei limiti di legge.
pochi mesi dopo il rilascio dell’aia 2011, il 2 febbraio 2012 il procuratore della repubblica di taranto franco sebastio scrisse alle autorità ambientali e sanitarie gli esiti di due perizie (“incidente probatorio”) che aveva commissionato per l’inchiesta che stava coordinando.
il risultato degli studi erano allarmanti e il procuratore aveva ritenuto giusto segnalare la situazione ai soggetti titolari di poteri di intervento in materia di tutela dell’ambiente e della salute e dell’incolumità delle persone.
racconterò prossimamente i dettagli di questi studi, molto discutibili e molto strumentali.
ma ne anticipo subito il succo: lunghi e articolati, densi di numeri e di dati, i due documenti confermano che l’ilva inquinava abbestia ma paiono mirati – per le scelte delle metodologie, per le omissioni volute, per i criteri adottati nel preferire alcuni risultati e dimenticarne altri – non a rendere salubre la città impestata ma a far chiudere la fabbrica.
alcune delle 282 pagine della perizia chimica
alcune delle 554 pagine della perizia epidemiologica.
il 21 febbraio 2012 il ministero dell’ambiente aggiornò la procura di taranto sulle azioni da tempo in corso per fronteggiare lo stato di contaminazione nello stabilimento e in città e le complesse vicende amministrative e giudiziarie sull’ilva e per far sapere ai magistrati che cosa si stava facendo sul fronte del risarcimento del danno ambientale.
nuove mosse scomposte
la segnalazione del procuratore mosse anche il sindaco di taranto, ippazio stefàno, medico apprezzato, in qualità di ufficiale di governo in materia sanitaria.
il sindaco avrebbe potuto chiedere una revisione dell’aia 2011, come prevede il codice dell’ambiente.
invece decise di emenare un’ordinanza a sé stante che confliggeva con l’aia 2011, autorizzazione ufficiale dello stato che determina le prescrizioni per l’esercizio dell’impianto.
il 25 febbraio 2012 emanò un’ordinanza in materia di industrie insalubri, fissando alcune prescrizioni per l’esercizio dell’impianto. una manna per il tar.
poi si mosse anche la regione puglia guidata da nichi vendola, la stessa regione tanto entusiasta pochi mesi prima. il 2 marzo 2012 chiese un riesame dell’aia 2011, senza però voler individuare specifiche motivazioni né provvedere ad un preventivo adeguamento (previsto nell’aia stessa) del piano di qualità dell’aria di sua competenza.
nel frattempo i tempi previsti per il rilascio dell’aia per le discariche dell’ilva erano slittati di oltre 7 mesi perché la commissione istruttoria ministeriale aia che aveva rilasciato l’aia 2011 si era spaccata e sciolta in seguito a raffiche di dimissioni; il tavolo tecnico sul monitoraggio in continuo dell’aria istituito da pelaggi aveva smesso di lavorare; il piano di monitoraggio e controllo post–aia 2011 cominciava a essere applicato ma non aveva ancora espresso risultati significativi; insomma il riesame dell’aia 2011 in quel momento si poteva dedicare solamente al benzopirene.
e poi c’erano altri aspetti – la compatibilità dell’impianto con il territorio, la salubrità dell’aria nel quartiere tamburi di taranto, il rispetto della normativa in materia di igiene e sicurezza del lavoro – che non fanno parte dell’aia, la quale riguarda l’esercizio di un’attività industriale e non la qualità dell’aria urbana.
nel frattempo (fine dell’inverno 2011-2012) cominciavano ad arrivare i risultati dei controlli programmati dall’aia 2011.
l’aia 2011 prevedeva sei mesi per mettere a punto un piano di monitoraggio e un successivo periodo di un anno per acquisire misure definitive.
però qualche rilevazione e qualche controllo differiva dagli altri: erano elementi di attenzione ma non ancora sufficienti a chiedere un riesame dell’aia 2011.
un caso a sé è il monitoraggio del benzopirene chiesto dalla regione puglia (delibera 334/2010) e condotto dall’arpa.
il 1 febbraio 2012 l’arpa rese note le rilevazioni: c’era un’elevata concentrazione di benzopirene, che è cancerogeno, e veniva dall’ilva.
nel marzo 2012 mentre vendola chiedeva il riesame dell’aia 2011…
così il 5 marzo 2012 il presidente della regione, nichi vendola, decise il riesame dell’aia 2011 e il 9 marzo 2012 scrisse alla commissione istruttoria ministeriale aiac di definire gli eventuali elementi integrativi da acquisire nello stabilimento ilva per poter aprire un dossier.
due giorni prima che vendola scrivesse al ministero, il 7 marzo 2012 il ministro (da quattro mesi il governo berluscono era caduto, sostitutito dal governo monti, e al posto di stefania prestigiacomo c’era corrado clini) invitò il presidente della commissione istruttoria ministeriale per l’aia a esaminare le due perizie della procura per verificare se sussistevano motivi che giustificassero l’apertura di un procedimento di riesame su alcuni aspetti dell’aia 2011.
era accaduta un’altra cosa importante.
l’8 marzo 2012 bruxelles aveva definito i nuovi documenti di riferimento applicabili al settore siderurgico e aveva emanato le bat-conclusions.
… bruxelles emanava i criteri per la siderurgia
bruxelles emana di continuo regole tecniche, e fra queste ci sono le cosiddette bat, siglia di best availale technologies (o best available techniques).
è il censimento delle migliori tecnologie disponibili per l’industria.
vengono emanate settore per settore.
la direttiva 2010/75/ue dice che quando si emanano nuove bat conclusions, esse devono essere adotate entro quattro anni, e che le autorizzazioni ambientali integrate (aia) debbano essere adeguate entro quattro anni alle nuove bat.
e proprio in quel periodo – parlo dell’inverno 2011-2012 – da bruxelles erano uscite le bat per il settore siderurgico che tutte le acciaierie europee avrebbero dovuto adottare entro i quattro anni successivi.
soffia un’aia nuova
quindi, il ministro decise di riapririre il dossier ilva, di riesaminare nei tempi di legge (i sei mesi) l’aia dell’ilva, e di far adottare subito, già nella nuova aia 2012, le migliori tecnologie disponibili bat con anni di anticipo rispetto all’obbligo europeo.
la commissione ippc del ministero venne integrata con i rappresentanti della regione puglia, degli enti locali e dell’ispra e fu incaricata di rifare daccao l’aia sui reparti “a caldo” dello stabilimento, cui facevano prevalentemente riferimento le perizie della procura.
(ciò che hai letto qui sopra è stato vissuto in prima persona perché a quei tempi lavoravo al ministero dell’ambiente.
ero stato portavoce prima del ministro corrado clini (governo monti) e poi di andrea orlando (governo letta) che oggi è ministro della giustizia).
(5 – continua)